venerdì 20 luglio 2018

NOTE SULLA QABBALAH: parte XII, il libro dello Zohar




SEGUE DA:




NOTE SULLA QABBALAH: parte IV, l’uno e le porte della conoscenza (clicca sul titolo per leggere)

NOTE SULLA QABBALAH: parte V, l’uno e l’unificato (clicca sul titolo per leggere)







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  IL SEPHER HA-ZOHAR

 Ho sin qui più volte citato il Sepher ha-Zohar, talora riportandone qualche passo significativo. L’apparizione di questa monumentale summa speculativa della tradizione cabbalistica risale agli ultimi decenni del XIII secolo e, dopo il Sepher Yetzirah e il Sepher ha-Bahir, lo Zohar – nome con il quale più semplicemente l’opera è nota – rappresentò certamente il testo di maggiore riferimento per gli studiosi e per la comprensione dell’evoluzione storica della Qabbalah. Anche in questo caso, non è mia intenzione entrare nel merito della vexata quaestio circa la sua origine, se antica o medievale, e neppure circa la sua composizione, se opera di uno o più autori. Al di là di puntuali analisi filologiche spesso di segno contrario e considerando piuttosto la diversità dei trattati e degli argomenti, nonché i numerosi frammenti che con il nome di “capitoli parassiti” appartengono al corpo stesso dello Zohar, mi limito a dire che appare di gran lunga più convincente la tesi di una pluralità di autori, vissuti anche in epoche differenti, rispetto a quella dell’elaborazione di un autore soltanto [Moshè de León, 1240-1305], sostenuta dallo Scholem. Maggiori perplessità conservo invece circa l’origine antica dello Zohar, rispetto a quella medievale, al netto della condivisione che i temi affrontati – che si sostanziano prevalentemente dei commenti del Pentateuco, del libro di Ruth, del Cantico dei Cantici e di poco altro – facciano parte da sempre della più antica tradizione ebraica, più spesso tramandata bocca-orecchio. Il fatto che lo Zohar si occupi ampiamente di questa tradizione [di quale altra avrebbe dovuto e potuto occuparsi?!], non significa anche che la sua elaborazione sia avvenuta contestualmente e non in epoche successive. Ciò che mi rende diffidente in proposito è la constatazione che non c’è quasi tradizione [da quelle religiose alla Massoneria e non solo] che non pretenda di rivendicare radici antichissime o addirittura mitiche al fine di avvalorare maggiormente le proprie dottrine.

 Rispetto ai testi precedenti e più importanti della Qabbalah storica [Sepher Yetzirah e Sepher ha-Bahir], lo Zohar riprende e sviluppa alcuni concetti, modificandone talora la natura e/o preparando nuovi scenari alla speculazione cabbalistica. In tale contesto, limiterò qui le mie considerazioni su alcuni aspetti tutti connessi tra di loro: le Sephiroth, il rapporto tra il maschile e il femminile, la questione del bene e del male, il Tetragramma e i quattro mondi, l’apparizione della luce e gli antecedenti zoharici dello Tzimtzum della qabbalah luriana. Giova innanzi tutto osservare come a partire dal Sepher Yetzirah si venga via via modificando l’idea stessa di che cosa siano le sephiroth e di quale sia il loro ruolo all’interno del progetto divino. Pure forme del molteplice, in tutto e per tutto simili a Dio, come Dio prive di qualsiasi determinazione, forma e figura, le sephiroth sono nello Yetzirah la misura di ogni realtà manifesta e la condizione trascendentale di ogni fenomeno. I cabbalisti provenzali e quelli sefarditi di Girona e di Castiglia finiranno con l’identificare le sephiroth con gli attributi divini che, come tali, non conoscono distinzioni gerarchiche ma solo qualità diverse in funzione di ciò che rappresentano, tant’è che si è portati a distinguere i loro nomi, traendoli dai versetti 11-13 del paragrafo 29 del primo libro delle Cronache:

11 Tua, Signore, è la grandezza, la potenza, la gloria, lo splendore e la maestà, perché tutto, nei cieli e sulla terra, è tuo. Signore, tuo è il regno; tu ti innalzi sovrano su ogni cosa.12 Da te provengono la ricchezza e la gloria; tu domini tutto; nella tua mano c'è forza e potenza; dalla tua mano ogni grandezza e potere. 13 Ora, nostro Dio, ti ringraziamo e lodiamo il tuo nome glorioso. [CEI]

 Chi tra i cabbalisti, come Asher Ben David, predilige la filosofia alla mistica farà delle sephiroth, nel suo Sepher haYichud, altrettante sfere intellettuali  mosse dalla sfera più alta, l’unica immobile, così come il primo motore o Dio di Aristotele e chi come Nachmanide, cercandone il significato più recondito, nel suo Commento alla Torah, farà delle Sephiroth i giorni primordiali della formazione del mondo: “ In senso più profondo, sono chiamate “giorni” le sefirot emanate dall’Altissimo, poiché ogni comando che pone in essere un’esistenza è detto “giorno”. I giorni della creazione furono sei… perché la parola “giorno” non è utilizzata per le prime tre sefirot. La spiegazione  concernente l’ordine dei versetti è sublime e occulta e noi ne abbiamo una conoscenza più piccola di una goccia nel grande mare” [Commento a Gen. I.I.; citato da Giulio Busi, Simboli del pensiero ebraico, Einaudi, Torino, 1999,pp.329-330]. Con Azrièl dei Girona, la diversità delle funzioni tra le sephiroth lascia già intravedere una gerarchia tra di loro e la decima sephirah diventa “l’attributo inferiore che si compone della forza di tutte per giudicare gli esseri terreni” [“Commento alle sephiroth”, in Simboli del pensiero ebraico, cit., p.613] e con Menachem Recanati [1250-1310] le sephiroth sono emanazioni e ombre della forma suprema:

La verità è che il Creatore, sia benedetto, è la Ca­gione delle cagioni, la Causa delle cause, né gli si può attribuire mutamento alcuno, né alcuna cosa che faccia pensare alla sua mol­teplicità. I nostri maestri, di benedetta memoria, hanno affermato che prima che il Santo, sia Egli benedetto, creasse il proprio mon­do, vi era Lui solo e il suo Nome. Ed ecco che egli concepì nel pro­prio pensiero di far uscire e di emanare dieci sefirot, la loro esisten­za e il loro assorbire, da se stesso, sia Egli sempre benedetto, detto En sof. E dalla forza della sua essenza deriva l'essenza della prima sefirah, dalla quale procede la forza di tutte le sefirot: è questo il se­greto della sua grandezza, per sapere e conoscere le entità separate ed emanate da Lui. È tuttavia proibito indagare sulla prima sefi­rah, come hanno affermato i nostri maestri, di benedetta memoria:

«Non ricercare cose troppo difficili per te», come è detto a pro­posito dell'En sof, e di questa prima sefirah, denominata «coro­na ». Il manifestarsi di queste sefirot, e le loro caratteristiche richie­derebbero una lunga spiegazione, che non intendiamo dare qui: è tuttavia necessario che tu sappia che il compimento dell'emana­zione delle dieci sefirot ha portato al compimento del mondo: tutto quanto si trova nelle creature, tanto nel mondo degli angeli quanto in quello delle sfere e nel mondo inferiore, è esemplato sul­le sefirot e deriva dalla loro forza. Attraverso le manifestazioni, le dieci sefirot si rivelano infatti in tutte le creature, come l'ombra presso la forma, secondo quanto è detto: Poiché ombra sono i nostri giorni sulla terra (Giobb. 8.9)”.[1]

[S E G U E]

sergio magaldi



[1] Cfr. Perush ‘eśer sefiroth, “Commento alle dieci sephiroth”, trad.it. G.Busi, in Mistica Ebraica, cit., p.532

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