SEGUE DA:
NOTE SULLA QABBALAH: parte IV, l’uno e le porte della conoscenza (clicca sul titolo per leggere)
NOTE SULLA QABBALAH: parte V, l’uno e l’unificato (clicca sul titolo per leggere)
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IL SEPHER HA-ZOHAR
Ho sin qui più volte citato il Sepher
ha-Zohar, talora riportandone qualche passo significativo. L’apparizione di
questa monumentale summa speculativa della tradizione cabbalistica
risale agli ultimi decenni del XIII secolo e, dopo il Sepher Yetzirah e
il Sepher ha-Bahir, lo Zohar – nome con il quale più
semplicemente l’opera è nota – rappresentò certamente il testo di maggiore
riferimento per gli studiosi e per la comprensione dell’evoluzione storica
della Qabbalah. Anche in questo caso, non è mia intenzione entrare nel merito
della vexata quaestio circa la sua origine, se antica o medievale, e
neppure circa la sua composizione, se opera di uno o più autori. Al di là di
puntuali analisi filologiche spesso di segno contrario e considerando piuttosto
la diversità dei trattati e degli argomenti, nonché i numerosi frammenti che
con il nome di “capitoli parassiti” appartengono al corpo stesso dello Zohar,
mi limito a dire che appare di gran lunga più convincente la tesi di una
pluralità di autori, vissuti anche in epoche differenti, rispetto a quella
dell’elaborazione di un autore soltanto [Moshè de León, 1240-1305], sostenuta
dallo Scholem. Maggiori perplessità conservo invece circa l’origine antica
dello Zohar, rispetto a quella medievale, al netto della condivisione
che i temi affrontati – che si sostanziano prevalentemente dei commenti del
Pentateuco, del libro di Ruth, del Cantico dei Cantici e di poco altro – facciano parte da sempre
della più antica tradizione ebraica, più spesso tramandata bocca-orecchio. Il
fatto che lo Zohar si occupi ampiamente di questa tradizione [di quale
altra avrebbe dovuto e potuto occuparsi?!], non significa anche che la sua
elaborazione sia avvenuta contestualmente e non in epoche successive. Ciò che
mi rende diffidente in proposito è la constatazione che non c’è quasi
tradizione [da quelle religiose alla Massoneria e non solo] che non pretenda di
rivendicare radici antichissime o addirittura mitiche al fine di avvalorare
maggiormente le proprie dottrine.
Rispetto ai
testi precedenti e più importanti della Qabbalah storica [Sepher Yetzirah e
Sepher ha-Bahir], lo Zohar riprende e sviluppa alcuni concetti,
modificandone talora la natura e/o preparando nuovi scenari alla speculazione
cabbalistica. In tale contesto, limiterò qui le mie considerazioni su alcuni
aspetti tutti connessi tra di loro: le Sephiroth, il rapporto tra il maschile e
il femminile, la questione del bene e del male, il Tetragramma e i quattro
mondi, l’apparizione della luce e gli antecedenti zoharici dello Tzimtzum della
qabbalah luriana. Giova innanzi tutto osservare come a partire dal Sepher
Yetzirah si venga via via modificando l’idea stessa di che cosa siano le
sephiroth e di quale sia il loro ruolo all’interno del progetto divino. Pure
forme del molteplice, in tutto e per tutto simili a Dio, come Dio prive di
qualsiasi determinazione, forma e figura, le sephiroth sono nello Yetzirah la
misura di ogni realtà manifesta e la condizione trascendentale di ogni
fenomeno. I cabbalisti provenzali e quelli sefarditi di Girona e di Castiglia
finiranno con l’identificare le sephiroth con gli attributi divini che, come
tali, non conoscono distinzioni gerarchiche ma solo qualità diverse in funzione
di ciò che rappresentano, tant’è che si è portati a distinguere i loro nomi,
traendoli dai versetti 11-13 del paragrafo 29 del primo libro delle Cronache:
11 Tua, Signore, è
la grandezza, la potenza, la gloria, lo splendore e la maestà, perché tutto,
nei cieli e sulla terra, è tuo. Signore, tuo è il regno; tu ti innalzi sovrano
su ogni cosa.12 Da te provengono la ricchezza e la gloria; tu
domini tutto; nella tua mano c'è forza e potenza; dalla tua mano ogni grandezza
e potere. 13 Ora, nostro Dio, ti ringraziamo e lodiamo il
tuo nome glorioso. [CEI]
Chi tra i
cabbalisti, come Asher Ben David, predilige la filosofia alla mistica farà
delle sephiroth, nel suo Sepher haYichud, altrettante sfere
intellettuali mosse dalla sfera più
alta, l’unica immobile, così come il primo motore o Dio di Aristotele e chi
come Nachmanide, cercandone il significato più recondito, nel suo Commento
alla Torah, farà delle Sephiroth i giorni primordiali della formazione del
mondo: “ In senso più profondo, sono chiamate “giorni” le sefirot emanate
dall’Altissimo, poiché ogni comando che pone in essere un’esistenza è detto
“giorno”. I giorni della creazione furono sei… perché la parola “giorno” non è
utilizzata per le prime tre sefirot. La spiegazione concernente l’ordine dei versetti è sublime e
occulta e noi ne abbiamo una conoscenza più piccola di una goccia nel grande
mare” [Commento a Gen. I.I.; citato da Giulio Busi, Simboli
del pensiero ebraico, Einaudi, Torino, 1999,pp.329-330]. Con Azrièl
dei Girona, la diversità delle funzioni tra le sephiroth lascia già intravedere
una gerarchia tra di loro e la decima sephirah diventa “l’attributo inferiore
che si compone della forza di tutte per giudicare gli esseri terreni”
[“Commento alle sephiroth”, in Simboli del pensiero ebraico, cit.,
p.613] e con Menachem Recanati [1250-1310] le sephiroth sono emanazioni e ombre
della forma suprema:
“La verità è che il Creatore, sia benedetto, è la Ca gione delle cagioni, la Causa delle cause, né gli si
può attribuire mutamento alcuno, né alcuna cosa che faccia pensare alla sua molteplicità.
I nostri maestri, di benedetta memoria, hanno affermato che prima che il Santo,
sia Egli benedetto, creasse il proprio mondo, vi era Lui solo e il suo Nome.
Ed ecco che egli concepì nel proprio pensiero di far uscire e di emanare dieci
sefirot, la loro esistenza e il loro assorbire, da se stesso, sia Egli
sempre benedetto, detto En sof. E dalla forza della sua essenza deriva
l'essenza della prima sefirah, dalla quale procede la forza di tutte le sefirot:
è questo il segreto della sua grandezza, per sapere e conoscere le entità
separate ed emanate da Lui. È tuttavia proibito indagare sulla prima sefirah,
come hanno affermato i nostri maestri, di benedetta memoria:
«Non ricercare cose troppo
difficili per te», come è detto a proposito dell'En sof, e di questa
prima sefirah, denominata «corona ». Il manifestarsi di queste sefirot,
e le loro caratteristiche richiederebbero una lunga spiegazione, che non
intendiamo dare qui: è tuttavia necessario che tu sappia che il compimento
dell'emanazione delle dieci sefirot ha portato al compimento del mondo:
tutto quanto si trova nelle creature, tanto nel mondo degli angeli quanto in
quello delle sfere e nel mondo inferiore, è esemplato sulle sefirot e
deriva dalla loro forza. Attraverso le manifestazioni, le dieci sefirot
si rivelano infatti in tutte le creature, come l'ombra presso la forma, secondo
quanto è detto: Poiché ombra sono i nostri giorni sulla terra (Giobb.
8.9)”.[1]
[S E
G U E]
sergio magaldi
[1] Cfr. Perush ‘eśer sefiroth, “Commento alle
dieci sephiroth”, trad.it. G.Busi, in Mistica Ebraica, cit., p.532
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