domenica 8 luglio 2018

NOTE SULLA QABBALAH: parte XI, il peccato di Adamo




SEGUE DA:

NOTE SULLA QABBALAH: parte I, la teurgia  (clicca sul titolo per leggere)


NOTE SULLA QABBALAH: parte IV, l’uno e le porte della conoscenza (clicca sul titolo per leggere)

NOTE SULLA QABBALAH: parte V, l’uno e l’unificato (clicca sul titolo per leggere)



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IL PECCATO DI ADAMO


In Esodo, il peccato di Adamo è nuovamente richiamato, allorché è detto (15,23-25): "Giunsero a Marah ma non poterono bere l'acqua perché era amara. Il popolo mormorò contro Mosè dicendo: 'Che berremo?'. Allora Mosè gridò al Signore e il Signore gli mostrò un legno. Mosè lo gettò nell'acqua e l'acqua divenne dolce".

 Allorché il popolo accusa Mosè è presente il demonio che viene per tenere lontano l'uomo dall'albero della vita. Egli istiga Israele a bere acqua amara, altrimenti tutti morranno, perché nel deserto non si trova altra acqua. Ma il Signore ascolta l'invocazione di Mosè e gli mostra un legno che muterà la natura della stessa acqua. Quel legno è lo stesso legno dell'albero della vita che in origine circondava le acque. Insomma, se non fosse stato per Mosè, il popolo impaziente avrebbe bevuto senza attendere la trasformazione delle acque. E fu l'impazienza – osserva Gikatila –  a causare la caduta di Adamo, il suo non aver saputo attendere che il frutto dell'albero fosse maturo, prima di cibarsene. Fu dunque l'impazienza a perdere il genere umano, precipitandolo nel regno del bene e del male, della vita e della morte. Scrive Gikatila in Cha 'aré Orah (Le Porte della Luce):

 "Il serpente primordiale...inflisse un danno alla luna (la sephirah Malkhout) per via del primo uomo, il quale...non attese che (il serpente) mangiasse la propria parte...nel qual caso l'albero sarebbe stato chiamato del bene e non del male e lui avrebbe potuto mangiarne tanto quanto ne desiderasse: ne avrebbe mangiato e avrebbe vissuto per sempre (Genesi, 3:22), secondo il segreto dell'albero della vita collegato a quello della conoscenza..." (f. 105a).

Scrive ancora Gikatila in Sod ha - Nahach (Il Segreto del Serpente):

 "... E' per questo motivo che Dio comanda al primo uomo di non toccare l'albero della conoscenza, fin quando il bene e il male fossero stati associati, sebbene l'uno fosse all'interno e l'altro all'esterno. Occorreva attendere che ne fosse staccato il prepuzio, com'è detto: tratterete i loro frutti come prepuzio (Levitico,19:23), ora è scritto: prese del suo frutto e ne mangiò (Genesi,3:6). Introdusse un idolo nel Palazzo (T.B. Ta'anit 28b) e l'impurità penetrò all'interno." (f. 276a-b). Il prepuzio è la scorza dura, assimilabile alla terra (Adamah) di cui è fatto Adamo. Solo quando la scorza fosse caduta, il frutto, ormai maturo, avrebbe potuto essere mangiato e la terra di Adamo si sarebbe mutata nell'oro dello spirito. 

 Se si guarda ora al secondo atto del mito cosmogonico, allorché il Signore nomina nuovamente l'albero della vita e si decide la sorte di Adamo ed Eva (Genesi III, 21-24), si comprende che al centro del giardino di Eden non c’è che un albero:

 "Il Signore Dio fece ad Adamo e ad Eva una tunica di pelle e li vestì, poi disse: 'Ecco Adamo è diventato come uno di noi,[1] conoscitore del bene e del male! Badiamo ora che non stenda la mano e prenda anche dell'albero della vita, per mangiare e vivere in eterno'. Quindi Dio lo cacciò via dal Gan Eden perché coltivasse la terra da cui era stato tratto. Scacciato Adamo, collocò a oriente del Gan Eden Cherubini che roteavano la spada fiammeggiante per custodire la via che portava all'albero della vita ". 

 Questi versetti starebbero proprio a dimostrare, secondo alcuni, l'esistenza di due distinti alberi. Quel che c’è di vero è invece che dell'albero della conoscenza d’ora in avanti non si parla più, perché un albero della conoscenza distinto dall'albero della vita in realtà non c'è mai stato. Dio lo ha fatto credere all'uomo per saggiarlo, per metterlo alla prova, ma nel momento in cui l'uomo si è reso colpevole di ubris, ha voluto cioè rendersi identico a Dio, anche l'illusione è scomparsa. Sin dal primo momento non c'è stato che un solo albero, come ha ben visto Tiziano nella sua tela ad olio dove l'albero, il cui frutto Eva riceve in dono dal serpente, costituisce l'asse centrale che divide la composizione, creando l'effetto che ciò che è UNO venga visto come duplice.

 Ancora una volta il Sepher Bahir c'illumina sull’intera questione (97-8 e 66-7): ci sono 32 sentieri che l'uomo deve percorrere per giungere in cima all'albero della vita, e l'albero con i suoi sentieri, è una metafora del corpo umano. Cosa è in realtà accaduto nel momento in cui l'uomo, preso da impazienza e dal desiderio di essere come Dio, ha mangiato del frutto proibito? Da quel momento egli, come si è già detto, entra nel tempo e nella condizione umana attuale, tant'è che il Signore lo riveste con una tunica di pelle ed egli non può più cibarsi, al pari di tutti gli animali, degli effluvi e dei sapori della vegetazione (Genesi, I, 29-30). Ora l'uomo è carne che desidera carne e in quanto tale non potrà più godere di immortalità. C'è ancora una possibilità, perché il germe della vita immortale è ancora dentro di lui, ma egli deve fare i conti con i cherubini armati della spada fiammeggiante per poter entrare nei sentieri e compiere l'ascesa lungo l’albero-colonna. Anche qui non sarà inutile ricorrere alle ghematrie per chiarire per chiarire meglio il concetto: Etz,                                                                                                                                                                                                                                                    


albero– come già detto – si scrive da destra a sinistra con  \ u (70+90)=160=7; Ammud, colonna con  d w m u  (70+40+6+4)=120=3. Sommando 7 con 3 si ha 10, oppure, se si preferisce, sommando 160 con 120 si ha 280, quindi per riduzione teosofica si ha ugualmente 2+8=10,  cioè le dieci sephiroth dell’albero della vita o albero delle sephiroth. L’uomo deve a questo punto iniziarsi, deve cioè percorrere il cammino all'inverso [Teshuvah] per tornare alla condizione originaria, per realizzare il Tiqqun, la restaurazione. Ma, soprattutto, non deve essere impaziente e deve accettare la morte fisica. In proposito si osserva in Zohar (I, 130b): "Al tempo in cui il Santo, benedetto egli sia, risusciterà i morti, Egli farà scendere su di loro una rugiada dal suo capo, grazie alla quale tutti si leveranno dalla terra (...) una rugiada di luce nel senso proprio del termine, composta cioè da fiamme superne, attraverso la quale Egli infonderà vita nel mondo, poiché l'albero della vita trasmette ai mondi una linfa vitale che mai non cessa".

 Del resto, l'uomo può in ogni momento tornare a compiere il peccato di Adamo, come si è visto accadere ingenuamente a Noé. Reso presuntuoso dalla conoscenza, consapevole della linfa vitale che scorre all’interno dell'albero, egli ancora una volta impaziente, avrà l’illusione di vincere la guardia dei cherubini per cibarsi dei frutti e guadagnare l’immortalità, ma ciò che otterrà, credendo di aver eluso la sorveglianza dei cherubini, sarà una ubriacatura simile a quella di Noé.

[ S E G U E ]

sergio magaldi



[1] “Noi”: in quasi tutte le versioni si sottintende “angeli”, ma c’è anche, come vedremo più avanti, chi lo attribuisce agli Elohim.

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