mercoledì 13 giugno 2012

"IL PRIGIONIERO DEL CIELO":il terzo volume della tetralogia di Zafon

Il Prigioniero del Cielo, Mondadori, 2012

 Continua la serie del “Cimitero dei libri dimenticati”, con una nuova ineffabile puntata: Il Prigioniero del Cielo, romanzo di Carlos Ruiz Zafón [Mondadori, 2012, pp.350].

 Come avverte l’autore “Le varie puntate della serie del Cimitero dei Libri Dimenticati possono essere lette in qualunque ordine o separatamente, consentendo al lettore di esplorare il labirinto di storie accedendovi da diverse porte e differenti sentieri, i quali, una volta riannodati, lo condurranno nel cuore della narrazione”.

 Francamente, mi sfugge quale sia il “cuore della narrazione”. Al più, si tratta di una saga familiare barcellonese che, dai primi decenni del ‘900, attraverso la guerra civile spagnola e il franchismo, giunge a toccare, con l’Epilogo di questo ultimo romanzo, gli anni Sessanta.

 In realtà, l’idea della serie deve essere nata in Zafón dopo il successo di Il Gioco dell’Angelo, con cui lo scrittore catalano bissava la fortuna insperata, ma non inspiegabile, di L’Ombra del Vento, perché, come già ho avuto modo di sottolineare, l’unico “aggancio” tra i due romanzi è rappresentato dal cognome Sempere e semmai dalla struttura  dell’intreccio narrativo, “dalla trama esile e pretestuosa”, zavorrata “di improbabili quanto noiose avventure”.

 Successo non inspiegabile – dicevo – di critica e di pubblico. Basti pensare agli oltre 8 milioni di copie vendute da L’ombra del vento e ai numerosi encomi della stampa che Zafón non esita a riportare nelle sette pagine finali di Il Prigioniero del Cielo[Ed.cit. pp. 343-349]. Per citarne solo qualcuno:

“L’ombra del vento è meraviglioso. Una costruzione dalla trama magistrale e meticolosa, con uno straordinario dominio del linguaggio… Una lettera d’amore alla letteratura…” Entertainment Weekly.

 E ancora:

 “Uno di quei rari romanzi che combinano una trama brillante con una scrittura sublime” Sunday Times

 Insomma, L’ombra del vento sembrava venire incontro alle aspettative di critica e pubblico: un romanzo popolare, semplice e al tempo stesso denso di marchingegni narrativi, scritto in buona lingua e senza errori sintattici. Ricco di frasi fatte e perciò maggiormente comprensibile al pubblico e alla critica superficiale, ancorché appartenente alla stampa più influente e sofisticata. Capace di rievocare tutti i generi narrativi cari alla fantasia e alla pancia dei lettori, strizzando l’occhio al magico e al diabolico. Una storia per il nostro tempo, carica d’effetto e senz’anima, capace tuttavia d’inchiodarti a leggere per sapere come andrà a finire… sino alla classica delusione finale. Un giudizio più compiuto sul libro, così come per Il Gioco dell’Angelo, lo ripropongo in separati post, per maggiore informazione dei lettori.

 Tornando a Il Prigioniero del Cielo, non si può negare che questa volta è davvero nata una saga. Prosegue, infatti, la vicenda di Daniel Sempere e del suo amico Fermín, iniziata con Il Gioco dell’Angelo e destinata, come mostra chiaramente il finale, a continuare con una prossima puntata della cosiddetta tetralogia. Come dire… trovato il filone giusto, l’abile romanziere catalano intende seguirlo con passione e poco importa se lascia insoluti alcuni interrogativi per il lettore… Anzi!

 Per strano paradosso, trovo questo libro [che al momento non sembra avviato al successo degli altri due] migliore degli altri della serie. Con minore velleità e minori marchingegni narrativi delle altre volte, Zafón c’intrattiene con la Barcellona degli anni Cinquanta, con ampi flashback sul precedente decennio, quando il franchismo con la sua barbarie s’è appena consolidato e nel resto del Mondo infuria ancora la guerra. Segreti di cartapesta e personaggi diabolici, lasciati volutamente in ombra, forse per preparare il successivo volume della saga, interrogativi angosciosi che scuotono la fiducia di Daniel Sempere nella fedeltà coniugale della moglie Beatriz, e uno dei tanti segreti di Fermín svelati alla luce del Conte di Montecristo, con grande divertimento dell’autore… Immagino! Eppure, il tutto mi sembra più accettabile e digeribile del polpettone che Zafón ci ha scientemente servito in precedenti occasioni.

 Insomma, un libro che non impegna troppo la mente, che si consuma in fretta, consigliato per le prossime vacanze al mare, da leggere distesi sulla spiaggia, prendendo il sole tra un bagno e l’altro.


sergio magaldi       

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