Il Prigioniero del Cielo, Mondadori, 2012 |
Continua
la serie del “Cimitero dei libri dimenticati”, con una nuova ineffabile
puntata: Il
Prigioniero del Cielo, romanzo di
Carlos Ruiz Zafón [Mondadori, 2012, pp.350].
Come avverte l’autore “Le varie puntate della serie del Cimitero
dei Libri Dimenticati possono essere lette in qualunque ordine o separatamente,
consentendo al lettore di esplorare il labirinto di storie accedendovi da
diverse porte e differenti sentieri, i quali, una volta riannodati, lo
condurranno nel cuore della narrazione”.
Francamente,
mi sfugge quale sia il “cuore della narrazione”. Al più, si tratta di una saga
familiare barcellonese che, dai primi decenni del ‘900, attraverso la guerra
civile spagnola e il franchismo, giunge a toccare, con l’Epilogo di questo
ultimo romanzo, gli anni Sessanta.
In
realtà, l’idea della serie deve essere nata in Zafón dopo il successo di Il
Gioco dell’Angelo, con cui lo scrittore catalano bissava la fortuna
insperata, ma non inspiegabile, di L’Ombra del Vento, perché, come già
ho avuto modo di sottolineare, l’unico “aggancio” tra i due romanzi è
rappresentato dal cognome Sempere e semmai dalla struttura dell’intreccio narrativo, “dalla trama esile
e pretestuosa”, zavorrata “di improbabili quanto noiose avventure”.
Successo non inspiegabile – dicevo – di critica e di pubblico.
Basti pensare agli oltre 8 milioni di copie vendute da L’ombra del vento
e ai numerosi encomi della stampa che Zafón non esita a riportare nelle sette
pagine finali di Il Prigioniero del Cielo[Ed.cit. pp. 343-349]. Per
citarne solo qualcuno:
“L’ombra
del vento è meraviglioso.
Una costruzione dalla trama magistrale e meticolosa, con uno straordinario
dominio del linguaggio… Una lettera d’amore alla letteratura…” Entertainment
Weekly.
E ancora:
“Uno
di quei rari romanzi che combinano una trama brillante con una scrittura
sublime” Sunday Times
Insomma, L’ombra del vento sembrava
venire incontro alle aspettative di critica e pubblico: un romanzo popolare,
semplice e al tempo stesso denso di marchingegni narrativi, scritto in buona
lingua e senza errori sintattici. Ricco di frasi fatte e perciò maggiormente
comprensibile al pubblico e alla critica superficiale, ancorché appartenente
alla stampa più influente e sofisticata. Capace di rievocare tutti i generi
narrativi cari alla fantasia e alla pancia dei lettori, strizzando l’occhio al
magico e al diabolico. Una storia per il nostro tempo, carica d’effetto e
senz’anima, capace tuttavia d’inchiodarti a leggere per sapere come andrà a
finire… sino alla classica delusione finale. Un giudizio più compiuto sul
libro, così come per Il Gioco dell’Angelo, lo ripropongo in separati post,
per maggiore informazione dei lettori.
Tornando a Il Prigioniero del Cielo, non si può negare che questa
volta è davvero nata una saga. Prosegue, infatti, la vicenda di Daniel
Sempere e del suo amico Fermín, iniziata con Il Gioco dell’Angelo e
destinata, come mostra chiaramente il finale, a continuare con una prossima
puntata della cosiddetta tetralogia. Come dire… trovato il filone giusto, l’abile
romanziere catalano intende seguirlo con passione e poco importa se lascia
insoluti alcuni interrogativi per il lettore… Anzi!
Per
strano paradosso, trovo questo libro [che al momento non sembra avviato al
successo degli altri due] migliore degli altri della serie. Con minore velleità
e minori marchingegni narrativi delle altre volte, Zafón c’intrattiene con la
Barcellona degli anni Cinquanta, con ampi flashback sul precedente decennio,
quando il franchismo con la sua barbarie s’è appena consolidato e nel resto del
Mondo infuria ancora la guerra. Segreti di cartapesta e personaggi diabolici,
lasciati volutamente in ombra, forse per preparare il successivo volume della
saga, interrogativi angosciosi che scuotono la fiducia di Daniel Sempere nella
fedeltà coniugale della moglie Beatriz, e uno dei tanti segreti di Fermín
svelati alla luce del Conte di Montecristo, con grande divertimento
dell’autore… Immagino! Eppure, il tutto mi sembra più accettabile e digeribile
del polpettone che Zafón ci ha scientemente servito in precedenti occasioni.
Insomma, un libro che non impegna troppo la mente, che si consuma
in fretta, consigliato per le prossime vacanze al mare, da leggere distesi
sulla spiaggia, prendendo il sole tra un bagno e l’altro.
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