Il crollo del muro di Berlino
George Soros, il noto finanziere
americano, in una recentissima intervista concessa a Federico Fubini sul Corriere
della Sera, sostiene come quasi ineluttabile la costituzione di un impero
tedesco con gran parte del resto dell’Europa a far da periferia come
retroterra. Soros, tuttavia, afferma che l’egemonia tedesca sul vecchio
continente non dipende né da un disegno preordinato della sua classe dirigente,
né è causato dall’introduzione della moneta unica, bensì da una serie di
tragici errori… Resta da chiedersi chi ha commesso questi errori e perché.
Soros non lo dice, ma nel corso della breve intervista lascia intendere
chiaramente che tali errori siano per lo più dovuti alle scelte politiche ed
economiche dei governi europei e della Bce.
Insomma, in Soros che conobbe la persecuzione nazista insieme a
mezzo milione di ebrei ungheresi come lui, non c’è alcun pregiudizio [E questo
gli fa certamente onore!] nei confronti della Germania, per il suo passato hitleriano,
caratterizzato da sanguinosa volontà di potenza, né per la politica di egemonia
inaugurata dal Bismark e mantenuta costantemente da quando esiste la nazione
tedesca. Nell’occasione e per la prima volta nella Storia si tratterebbe di
altro: un imperialismo per così dire involontario, causato dalla miopia di
tutti i partner europei e internazionali della Germania.
A guardar bene – ma non è mia intenzione farlo in questo breve
articolo – si troverebbero ragioni altrettanto valide per parlare anche per il passato di errori altrui, come giustificazione del perpetuo tentativo da parte
dei tedeschi di egemonizzare il resto dell’Europa. In quest’ottica, si finisce
col comprendere persino Hitler, che trovò il terreno già seminato dai sin
troppo onerosi trattati di pace imposti alla Germania dai vincitori della Prima
guerra mondiale.
Sulla questione, girano molte voci e si ha come l’impressione che
si cerchi ad ogni costo di evitare la demonizzazione dei tedeschi, attribuendo
ogni responsabilità a sparute classi dirigenti o ai poteri forti della finanza
internazionale che si servirebbero della Germania per realizzare il progetto
scientifico di controllo dell’economia mondiale e della politica, laddove il
popolo teutonico sarebbe un eterno fanciullo, capace di produrre opere di
grande poesia, musica e filosofia, ma incline a lasciarsi sedurre da demagoghi
sempre risorgenti. Un po’ il discorso che si fa per l’Italia di ieri e di oggi.
Popolo di artisti di santi di poeti di navigatori e di eroi e sempre innocente,
nonostante i vent’anni di fascismo, i cinquanta di democrazia cristiana, i
successivi di una classe politica altrettanto vergognosa, sempre nella
continuità del clericalismo, della criminalità organizzata e della corruzione.
Questa dell’innocenza dei popoli non è solo uno slogan di
moda che porta acqua al mulino delle opposizioni politiche di turno che se ne
approprino, è un tentativo, nobile persino, di esorcizzare pregiudizi e
generalizzazioni che formano l’humus su cui nasce e cresce la mala
pianta del razzismo. L’idea di un popolo innocente e geniale in perenne
contrasto con i pochi dirigenti corrotti e famelici che lo governano ha dunque
una funzione sociale fondamentale, ma trascura un elemento di primaria
importanza. Un tale popolo non sarà mai capace di autocritica e finirà
per subire le vicende nazionali in luogo di provocarle. Non si tratta di demonizzare:
la classe dirigente di un paese è l’espressione della società civile e, anche
se talora è proprio la sua parte peggiore che si organizza, “il peggio del
peggio”, resta pur sempre vero che essa trae linfa e vigore dal tessuto sociale
di cui è espressione.
L’ultima riflessione ha delle implicazioni non indifferenti.
Perché se è vero la crisi che attraversa l’Europa ha i suoi maggiori
responsabili nella Germania della Merkel e nei poteri forti dell’economia che
ne orientano le scelte, facendo leva sul perenne desiderio di egemonia dei
tedeschi, è altrettanto vero che i paesi europei oggi più colpiti da una
politica di rigore “lacrime e sangue”: Grecia, Portogallo, Spagna e Italia,
tanto per citare i maggiori, dovrebbero fare autocritica rispetto alle
scelte del passato. L’Italia in particolare, per avere scialacquato, a
vantaggio di ristrette oligarchie, ingenti risorse nel periodo delle “vacche
grasse”, per non aver modernizzato lo stato, per aver permesso che corruzione e
criminalità organizzata, favorite e protette dalla politica, prosperassero, per
non aver impedito l’evasione fiscale concreta e generalizzata [nell’unica
maniera possibile che è quella dei controlli incrociati e delle detrazioni
fiscali come avviene in Germania e negli Stati Uniti], la quale continua
imperterrita nonostante i reiterati proclami di volerla combattere, colpendo i
soliti noti o coloro che, a ragione della crisi economica e della recessione
programmata dal governo Monti, non sono più in grado di versare il dovuto al
Fisco. E infatti, è di queste ore la notizia che le entrate fiscali nel nostro
Paese sono di gran lunga inferiori alle aspettative!
Soros, uomo ammirabile per aver costruito dal niente la propria
ingente ricchezza, per le sue attività filantropiche e in difesa dei diritti
umani e civili, ritiene che l’introduzione dell’euro non abbia nulla a che
vedere con la crisi attuale dell’Europa. Sarebbe interessante chiedergli se
anche per l’unificazione tedesca possa dirsi la stessa cosa o se, tra i
“tragici errori” delle classi dirigenti, egli non annoveri anche questo.
Intendiamoci: l’unificazione tedesca era inevitabile, dopo la caduta del
comunismo sovietico e l’abbattimento del muro di Berlino. La questione è altra.
La riunione delle due Germanie era una vicenda solo tedesca, come fu di fatto,
o non avrebbe dovuto svolgersi secondo un rigoroso protocollo stabilito
dall’Europa politica ed economica e/o dai paesi del cosiddetto G7, le sette
nazioni più industrializzate del mondo, almeno nel 1976, allorché il Gruppo
fu costituito?
La questione non è di poco conto, perché fu l’Europa a pagare le
spese dell’unificazione della Germania gestita dai tedeschi, con la crisi economica
che ne derivò per diversi anni e ancor più per la restrizione monetaria
adottata dalla Bundesbank che, per la prima volta dal dopoguerra, fece saltare
il sistema monetario europeo, gettando le fondamenta per la costruzione di
un’Europa sbilenca e a futuro primato teutonico. Solo un “acuto” intenditore e
“fine” politico come Lamberto Dini poteva dire nel 1990, quando ancora era
Direttore Generale della Banca d’Italia, che la riunificazione tedesca, nella
forma in cui stava per essere realizzata, avrebbe avuto un benefico effetto
sull’economia europea!
Infine, per chi crede come Giulio Tremonti e tanti altri che la
Germania abbia una gran voglia di buttarci fuori dell’euro, valgano queste
ulteriori considerazioni di George Soros:
“[…] la Germania farà sempre qualcosa per impedire
che l’euro vada in pezzi, se non altro perché altrimenti entro la fine di
quest’anno la Bundesbank si ritroverebbe con oltre mille miliardi di credito
quasi del tutto inesigibili nei confronti della periferia europea. L’euro può
sopravvivere. Ma l’Europa si allontana dal sogno di una società aperta nella
quale credevo: tutto per colpa degli errori delle autorità nel gestire gli
squilibri fra Paesi debitori e creditori".
Può darsi che Soros abbia ragione, ma può anche darsi che Tremonti e gli altri non abbiano torto, per il rilancio di un’idea che da tempo è nella mente dei governanti tedeschi: un euro a due velocità, dove con quella meno spedita sarebbero costretti a viaggiare gran parte dei paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo. Un’idea che finirebbe per consolidare definitivamente l’egemonia tedesca in Europa, il sogno di Hitler con o senza il passo dell’oca.
Sergio Magaldi
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