Testo
della relazione presentata al Convegno organizzato il 3 maggio 2019 dal Comune
di Milano e dal Movimento Roosevelt:
“Nel segno di Olof Palme, Carlo Rosselli e Thomas Sankara
e contro la crisi della democrazia in Italia, Europa, Africa e a livello
globale”
Democrazia
ed economia di mercato
Carlo Rosselli, Olof Palme e Thomas Sankara non sono solo
accomunati, purtroppo, dall’essere stati assassinati, il primo durante il
fascismo, e gli altri due, a breve distanza l’uno dall’altro, quando già si
andavano affermando in Europa come in Africa le mutate esigenze del
capitalismo: globalizzazione e neocolonialismo. Ciò che li accomuna in positivo
è l’aver tentato, talora efficacemente, di coniugare insieme – sia pure in forme
e da posizioni diverse – i principi del socialismo e della libertà.
Il tentativo di Carlo Rosselli di prendere le distanze dal
socialismo utopistico, dal socialismo scientifico e dal cosiddetto
revisionismo, per l’affermazione di un socialismo liberale o etico, come pure
le grandi riforme sociali realizzate da Olof Palme e da Thomas Sankara, nella
loro attività di governo – rispettivamente in uno stato dei più progrediti
dell’Europa del nord e in uno dei più depressi dell’Africa sub sahariana – sono
l’esplicito riconoscimento che la democrazia, nella sua concretezza storica di
democrazia rappresentativa, si caratterizza per il suo stretto collegamento con
l’economia di mercato, rappresentandone addirittura l’antidoto contro ogni
possibile forma degenerativa.
Carlo Rosselli e il socialismo liberale
Quando nel 1929, dal confino di Lipari, al quale l’aveva
destinato il fascismo, Carlo Rosselli vergò le pagine di Socialismo liberale , non c’è dubbio che fosse in atto, almeno in
Italia, una delle peggiori degenerazioni della democrazia e del mercato, con l’abolizione
di partiti e sindacati, il partito unico, il corporativismo fascista,
l’autarchia economica e la palese violazione dei diritti umani. Fu allora che
egli concepì compiutamente l’essenza e il significato del socialismo, inteso
essenzialmente come lo sbocco naturale dei principi dell’89, affermatosi in
Occidente con il crollo delle vecchie strutture feudali, l’avvento di forme
alternative di produzione della ricchezza e la nascita di un nuovo soggetto
storico: la classe operaia, potenzialmente rivoluzionaria, come rivoluzionaria
era stata in precedenza la borghesia.
Se è vero che la formula del “socialismo liberale” si
ispirava a John Stuart Mill (1806-1873), ed era già stata usata da Françoise Huet in un saggio del 1864 e sei
anni dopo dal filosofo Charles Renouvier che aveva contrapposto il socialismo
liberale al socialismo collettivista, fu merito soprattutto di Carlo Rosselli
averne dissipato la contraddizione apparente dei termini e averne approfondito
la natura e il significato.
Scrive Carlo Rosselli:“La formula socialismo liberale suona all’orecchio di
molti, usi alla terminologia politica corrente, come una stonatura. La parola
liberalismo ha servito purtroppo a contrabbandare merci di così varia specie e
natura, e fu a tal punto per il passato orto borghese, che mal si piega oggi il
socialista ad impiegarla. Ma qui non è che si voglia proporre una nuova
terminologia di partito. Si vuol solo ricondurre il moto socialista ai suoi principî
primi, alle sue origini storiche e psicologiche. Si vuol solo dimostrare come
il socialismo, in ultima analisi, sia filosofia di libertà” [1]
In tale prospettiva, un socialismo non
dogmatico non può non incontrare, ad un certo punto della propria strada, il
liberalismo, sempre che anche questo si sia messo in cammino e non pretenda di
rimanere, per così dire, appeso alle proprie primitive realizzazioni. In altre
parole – osserva Rosselli – il socialismo deve tendere a farsi liberale e il
liberalismo a sostanziarsi di lotta proletaria. Solo su queste basi è possibile
costruire un sistema in cui convivano la giustizia
sociale e le libertà individuali.
L’impegno
di Carlo Rosselli contro il fascismo e la diffusione in Italia del
liberalsocialismo
Questa visione dell’incontro tra
socialismo e liberalismo ha un riscontro e un corrispettivo nel Primo Manifesto del Liberalsocialismo
che circola clandestinamente in Italia, qualche anno dopo l’assassinio di Carlo
Rosselli e di suo fratello Nello, avvenuto nei pressi Bagnoles de l’Orne in
Normandia, il 9 giugno del 1937, ad opera di sicari della Cagoule (cosiddetta
dal copricapo usato dagli adepti per mascherare i loro delitti) –
organizzazione di estrema destra francese – su mandato del regime fascista
italiano. Appena quindici giorni prima, Carlo Rosselli era intervenuto alla
commemorazione di Antonio Gramsci (1891- 27 aprile 1937) affermando: «Con la morte di Gramsci, l’umanità ha perso
un pensatore di genio e la rivoluzione italiana il suo capo»
Allora, Carlo Rosselli era appena
reduce a Parigi dalla guerra civile spagnola, al cui scoppio – prima ancora che
il legittimo governo di Madrid accettasse l’arrivo delle brigate internazionali
– egli era subito accorso in difesa dell’autonoma Repubblica di Catalogna e da
Barcellona, il 13 novembre del ’36, aveva pronunciato alla radio il celebre
discorso “Oggi in Spagna, domani in Italia”:
“Compagni, fratelli, italiani, ascoltate. Un
volontario italiano vi parla dalla Radio di Barcellona per portarvi il saluto
delle migliaia di antifascisti italiani esuli che si battono nelle file
dell'armata rivoluzionaria. Una colonna italiana combatte da tre mesi sul
fronte di Aragona. Undici morti, venti feriti, la stima dei compagni spagnuoli:
ecco la testimonianza del suo sacrificio.
Una seconda colonna italiana. formatasi in questi giorni, difende eroicamente Madrid. In tutti i reparti si trovano volontari italiani, uomini che avendo perduto la libertà nella propria terra, cominciano col riconquistarla in Ispagna, fucile alla mano […]Ascoltate, italiani. E' un volontario italiano che vi parla dalla Radio di Barcellona. Un secolo fa, l'Italia schiava taceva e fremeva sotto il tallone dell'Austria, del Borbone, dei Savoia, dei preti. Ogni sforzo di liberazione veniva spietatamente represso. Coloro che non erano in prigione, venivano costretti all'esilio. Ma in esilio non rinunciarono alla lotta. Santarosa in Grecia, Garibaldi in America, Mazzini in Inghilterra, Pisacane in Francia, insieme a tanti altri, non potendo più lottare nel paese, lottarono per la libertà degli altri popoli, dimostrando al mondo che gli italiani erano degni di vivere liberi. Da quei sacrifici,da quegli esempi uscì consacrata la causa italiana. Gli italiani riacquistarono fiducia nelle loro forze.
Oggi una nuova tirannia, assai più feroce ed umiliante dell'antica, ci opprime. Non è più lo straniero che domina. Siamo noi che ci siamo lasciati mettere il piede sul collo da una minoranza faziosa, che utilizzando tutte le forze del privilegio tiene in ceppi la classe lavoratrice ed il pensiero italiani. […]
Una seconda colonna italiana. formatasi in questi giorni, difende eroicamente Madrid. In tutti i reparti si trovano volontari italiani, uomini che avendo perduto la libertà nella propria terra, cominciano col riconquistarla in Ispagna, fucile alla mano […]Ascoltate, italiani. E' un volontario italiano che vi parla dalla Radio di Barcellona. Un secolo fa, l'Italia schiava taceva e fremeva sotto il tallone dell'Austria, del Borbone, dei Savoia, dei preti. Ogni sforzo di liberazione veniva spietatamente represso. Coloro che non erano in prigione, venivano costretti all'esilio. Ma in esilio non rinunciarono alla lotta. Santarosa in Grecia, Garibaldi in America, Mazzini in Inghilterra, Pisacane in Francia, insieme a tanti altri, non potendo più lottare nel paese, lottarono per la libertà degli altri popoli, dimostrando al mondo che gli italiani erano degni di vivere liberi. Da quei sacrifici,da quegli esempi uscì consacrata la causa italiana. Gli italiani riacquistarono fiducia nelle loro forze.
Oggi una nuova tirannia, assai più feroce ed umiliante dell'antica, ci opprime. Non è più lo straniero che domina. Siamo noi che ci siamo lasciati mettere il piede sul collo da una minoranza faziosa, che utilizzando tutte le forze del privilegio tiene in ceppi la classe lavoratrice ed il pensiero italiani. […]
Il Primo Manifesto del Liberalsocialismo –
dicevo – nacque tra il 1938 e il 1940, riassumendo i tanti dibattiti avvenuti
tra gli intellettuali italiani, alcuni dei quali, professori universitari,
nell’agosto del 1931, avevano giurato fedeltà al fascismo[2],
tra i quali Piero Calamandrei e Guido Calogero, al quale spettò l’incarico di
redigerlo. Apparso solo parzialmente nel 1944, il Primo Manifesto sarà pubblicato interamente solo nel 1945,
unitamente al Secondo Manifesto che
in realtà non è altro che una sintesi del Primo. Pur richiamandosi al socialismo
liberale di Carlo Rosselli, senza mai citarlo, il documento se ne discosta
nello spirito e nella lettera per almeno quattro motivi:
1)Non c’è alcun esplicito riferimento al
fascismo.
2)Il socialismo è considerato un ideale,
alla stregua del socialismo utopistico, respinto tanto da Marx che dallo stesso
Carlo Rosselli.
3)Il socialismo liberale influenzò
profondamente la storia del socialismo italiano, mentre per le parole dello
stesso Guido Calogero, il liberalsocialismo fu «un movimento di
opinione, una organizzazione per la propaganda ed il chiarimento delle idee».
4)Il socialismo, per Carlo Rosselli non
incontra il liberalismo, ne è piuttosto il
suo erede concreto. [S E G U E ]
sergio magaldi
[1] Carlo
Rosselli, Socialismo liberale e altri scritti a cura di John Rosselli, Einaudi,
Torino, 1973, pp. 434-5.
[2] Pare
che Giovanni Gentile rivendicasse la paternità del provvedimento. Per la verità
solo in 12, tra i professori universitari, non firmarono il giuramento di
fedeltà al fascismo, i più noti tra questi: Piero Sraffa e Gaetano De Sanctis.
Tra loro non figurano docenti di storia contemporanea né socialisti. Tra i
firmatari, oltre ai già citati Piero Calamandrei e Guido Calogero, molti i nomi
illustri: Guido De Ruggiero, Adolfo Omodeo, Federico Chabod, Arturo Carlo Jemolo, Luigi Einaudi, Concetto
Marchesi e molti altri. Alcuni dei firmatari si giustificarono successivamente,
adducendo motivi di famiglia, con la paura dell’indigenza che li avrebbe
colpiti insieme ai loro figli. Liberali e comunisti pare siano stati indotti a
firmare dall'assunto comune sia a Togliatti che a Benedetto Croce: firmare per
non lasciare che i giovani fossero ‘avvelenati’ da altri docenti fascisti. I
cattolici firmarono con la “riserva interiore” suggerita da Pio XI.
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