Testo della relazione presentata al Convegno organizzato
il 3 maggio 2019 dal Comune di Milano e dal Movimento Roosevelt:
“Nel segno di Olof Palme, Carlo Rosselli e Thomas Sankara
e contro la crisi della democrazia in Italia, Europa, Africa e a livello globale”
SEGUE DA:
Già all’esordio come primo ministro, Olof
Palme intervenne con efficacia nello sciopero dei cinquemila minatori della
regione del Norbotten, che, oltre agli aumenti salariali, chiedevano
soprattutto un miglioramento delle condizioni di sicurezza. La soluzione del
neo primo ministro svedese fu nel fare approvare un programma di riforme che
modificava sensibilmente, a vantaggio dei lavoratori, le norme sul diritto del
lavoro. Un anno più tardi, dopo le nuove elezioni che videro una diminuzione
dei consensi per la SAP, determinato dall’elettorato di destra del partito, non
esitò ad associare nella maggioranza di governo i 17 deputati del partito comunista.
Nel 1971 varò una legge a tutela dei lavoratori più anziani e, tra il ’72 e il
’76, nuove leggi furono approvate dal Parlamento su richiesta del suo governo:
la rappresentanza dei dipendenti nel consiglio di amministrazione delle
aziende, la revisione della normativa sulla sicurezza nel posto di lavoro, la
legge contro i licenziamenti arbitrari e sul diritto dei lavoratori al congedo
per motivi di studio, la legge sui delegati sindacali e quella che affiancava i
lavoratori agli imprenditori nell’organizzazione aziendale.
Contestualmente, in questi stessi anni,
Olof Palme indirizzò la sua politica all’ampliamento del welfare, con misure in favore dei pensionati, della salute pubblica
e della famiglia, e chiamò a raccolta il partito nella battaglia per la parità
dei sessi, che soprattutto andava resa evidente con l’uguaglianza dei diritti
tra uomo e donna, sul mercato del lavoro. La mobilitazione in favore dei
diritti delle donne, fu chiaramente da lui sostenuta in un intervento al
congresso della Sap del 2 ottobre del 1972:
“[…]L’aspirazione all’uguaglianza tra i sessi deve
fondarsi sul mondo del lavoro. Dobbiamo rivendicare il diritto delle donne
all’occupazione. La società deve essere organizzata sulla base di una divisione
del lavoro rispettosa dell’uguaglianza fra uomini e donne. Ciò richiede il
potenziamento dell’assistenza all’infanzia, servizi sociali e un maggior peso
dello spirito comunitario nell’organizzazione della società. Oggi la società è
caratterizzata da valori che sotto molti aspetti discriminano le donne, le
ostacolano nel loro processo di liberazione […]”[1]
Nell’ambito della politica internazionale,
Olof Palme non si fece scrupolo nel condannare la guerra degli Stati Uniti
contro il Vietnam, in particolare dopo il bombardamento americano di Hanoi che
egli definì alla radio svedese - attirandosi l’ira del presidente Nixon - come
una delle maggiori atrocità della storia. Così come, con altrettanta energia,
si sarebbe pronunciato più tardi contro l’apartheid
del regime razzista sudafricano di Pieter Botha.
Nel 1982, nel corso di un dibattito
televisivo – riprendendo l’azione di capo del governo, interrotta nel 1976, e
che concluderà circa quattro anni dopo, nel giorno del suo assassinio – Olof
Palme si diceva orgoglioso di essere un socialista democratico: “È con orgoglio e con gioia che sono un
socialista democratico […] Lo sono con orgoglio per ciò che questo socialismo
democratico ha realizzato nel nostro paese, lo sono con gioia perché so che
abbiamo davanti a noi compiti importanti, dopo gli anni di malgoverno borghese”.[2]
Eppure, nonostante
questa fiducia nel futuro, in un’intervista di anni prima, egli non aveva
mancato di sottolineare, con sorprendente lungimiranza, i pericoli per la
democrazia, rappresentati dalla crisi del capitalismo: “Sono dell’opinione
– aveva detto – che il capitalismo stia attraversando una sorta di crisi di
lunga durata. Se guardiamo a come vanno le cose nei paesi capitalistici, la
situazione non appare proprio tanto promettente
[…] Sono ottimista per quanto riguarda il
futuro del socialismo, perché esso si rivelerà necessario. Il rischio tuttavia
e che il capitalismo, trovandosi sulla difensiva, diventi duro, brutale e
repressivo, finendo così per diventare pericoloso”.[3]
Olof Palme aveva
lottato per la completa affermazione dei tre capisaldi della libertà e del
socialismo: la democrazia politica
– inaugurata in Svezia nel 1918 con il
suffragio universale, e da lui ampliata favorendo una maggiore presenza delle
donne nelle istituzioni e nei quadri dirigenziali del partito e del sindacato
–, la democrazia sociale – con
l’estensione del welfare in ogni
campo della vita civile – e la democrazia
economica – con le conquiste progressive del movimento operaio sul mercato
del lavoro.
Thomas
Sankara: le riforme sociali e la lotta contro il neocolonialismo
Nel continente
africano, Thomas Sankara non è da meno di Olof Palme e di Carlo Rosselli, tanto che anche la sua
sorte, alla fine, è identica a quella degli altri due. Profondamente diverse
erano state però le condizioni di partenza, non solo quelle personali, ma anche
e soprattutto quelle territoriali: la nascita in un paese tra i più poveri
dell’Africa, l’Alto Volta, colonia francese, indipendente dal 1960, a nord
dell’omonimo fiume e ai confini del deserto. Eppure, Sankara, si considerò
sempre un privilegiato, prima sopravvivendo alla diffusissima mortalità
infantile, poi potendo studiare nelle missioni religiose, infine intraprendendo
una carriera militare che lo affrancò dalla miseria e gli consentì di recarsi in
Europa per essere addestrato.
Più tardi, come
Olof Palme, Sankara si trovò a guidare la politica del suo paese, al quale
cambiò il nome in Burkina Faso (Terra degli intrepidi), per
meglio segnarne la distanza dal passato coloniale. Il suo mandato di Presidente
durò all’incirca quattro anni, come il secondo incarico di governo del primo
ministro svedese e, in entrambi i casi, fu l’assassinio politico a causarne la
fine: il 28 febbraio del 1986 per Olof Palme e nemmeno un anno dopo, il 15
ottobre del 1987, per Thomas Sankara.
Per comprensibili
ragioni ambientali e sociali legate al sottosviluppo, alle malattie endemiche,
all’analfabetismo pressoché totale della popolazione, alla presenza di sei
milioni di contadini poveri su sette milioni di abitanti e all’indebitamento di
epoca coloniale, le riforme del leader africano non rientravano negli schemi
classici del socialismo democratico europeo. Nello spirito, si rifacevano a
Marx, e alla lotta di classe – nella fattispecie identificata nel conflitto tra
sfruttatori e sfruttati – e alle figure leggendarie di combattenti comunisti
come Che Guevara; nella sostanza, furono introdotte nel Burkina Faso, nel pieno
rispetto della libertà individuali, solo indulgendo al licenziamento di circa
diecimila quadri dirigenziali compromessi con il passato regime coloniale.
[S E G U E]
sergio magaldi
[1] Tra utopia e realtà: Olof Palme e il socialismo democratico,
antologia di scritti e discorsi a cura di Monica Quirico, Editori Riuniti,
University press, novembre 2009, p.115
[2] Op.cit., pp.157-158
[3] Ibid., p.90
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