Dopo
aver a lungo e invano evocato la crisi del governo gialloverde [vedi i post La lunga marcia delle élites e La terza mossa del sistema, cliccando
sui titoli], le vestali della
comunicazione questa volta potrebbero fare centro. Non tanto per il voto che in
Senato ha visto divisi Cinquestelle e Lega, quanto per le impegnative manovre
annunciate dalle forze di governo e che dovrebbero trovare posto nella legge di
bilancio da predisporre per il tardo autunno. Il voto sulla TAV, infatti,
rischia di essere solo un pretesto. Ai pentastellati per ricompattarsi,
dimostrando così di mantenere fede al patto anti-TAV stipulato a suo tempo con
gli elettori, ai leghisti per rinviare il più volte proclamato abbattimento
delle tasse [flat tax], ad entrambi per evitare la riduzione del numero dei
parlamentari.
Con
la crisi si aprirebbe di fatto una campagna elettorale dove i gialli
tenterebbero di riaprirsi un varco a sinistra con la proposta del salario
minimo e altre quisquilie e i verdi
rilancerebbero alla grande la promessa – invano formulata da Berlusconi già
venticinque anni fa – di riformare il sistema fiscale per le imprese e per le
famiglie, aggiungendo anche massicce dosi di sovranismo e di investimenti
produttivi. Certo, Mattarella permettendo, perché il presidente della
Repubblica, prima di sciogliere le Camere, potrebbe tentare altre strade e
altre maggioranze, ed è proprio questo aspetto che lascia ancora perplesso
Salvini, perché una maggioranza alternativa a quella che sostiene il governo,
com’è noto, esiste tutt’ora in Parlamento ed è quella tra il M5S, che detiene
la maggioranza relativa, e il PD. Si dirà che questa è una maggioranza di
governo politicamente impossibile dopo il voto europeo, anche perché il PD
spera con nuove elezioni di prendere, come si suole dire, due piccioni con una
fava: riguadagnare il consenso perduto proprio ai danni dei Cinquestelle e
sostituire i parlamentari fedeli a Renzi almeno sulla carta. Tutto vero, ma le
alchimie della politica sono infinite e questo il leader della Lega lo sa
benissimo.
La
lunga marcia delle élite [non tanto delle opposizioni ufficiali rappresentate
dai partiti], iniziata già dopo le ultime elezioni politiche, sta forse per
concludersi trionfalmente, scongiurando per sempre l’alleanza cosiddetta
populista? E’ quello che vedremo: molto dipende da come Di Maio e Salvini
sapranno resistere alle pressioni dei loro e/o da quello che i due leader
valuteranno più conveniente per le proprie rispettive fazioni.
sergio
magaldi
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