SEGUE DA:
NOTE SULLA QABBALAH: parte IV, l’uno e le porte della conoscenza (clicca sul titolo perleggere)
NOTE SULLA QABBALAH: parte V, l’uno e l’unificato (clicca sul titolo per leggere)
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NATURA DELL’UNO E DELLE
SEPHIROT
Altrove, Recanati vede nelle
sephiroth altrettanti “specchi” che via via degradano dalla luce suprema sino a
Malkut, definita “specchio opaco” perché è la più distante “dalla grande
fonte” e racchiude in sé “gocce di oscurità” che manifestano “l’attributo del
rigore” [Ibid.]. Ormai, come si vede, le sephiroth sono diventate altro
da quello che erano nel Sepher Yetzirah: 1) Non si identificano con l’Uno, ma
partecipano della sua stessa natura e sono da lui emanate. 2) Sono ordinate in
modo gerarchico. 3) La decima sephirah, ormai lontana dalla luce primordiale,
lascia intravedere “gocce di oscurità” che preludono al male e al rigore.
Riferendosi alle sephiroth, lo Zohar le
definisce spesso come sitrin (aspetti) o come levushim (vesti) di
Dio. In un brano del Tikunei ha-Zohar è detto tra l’altro: “Ti
nascondi in esse, e fin quando rimani in esse, il loro equilibrio non ha
modificazione, chiunque separi una di queste dieci dall’altra, sarà come se
dividesse la tua Unità […] Hai preparato per loro delle vesti che servono alla anime umane […] tutte
queste cose (sono dette da Te) per fare conoscere all’uomo la tua forza e la
tua onnipotenza, per mostrare come l’universo è governato tramite il Rigore
(din) e la Misericordia
(rachamim), che sono la giustizia (zedeq) ed il diritto (mishpat), secondo le
azioni degli uomini”.
Insomma, nella letteratura zoharica, le sephiroth, da forme pure trascendentali
che erano nel Sepher Yetzirah, si sono trasformate in strumenti e/o contenitori
dove la luce è sempre la stessa, ma riflessa in modo diverso e dove la loro
collocazione sull’Albero dell’emanazione si dispone in una
destra, un centro e una sinistra. Di
qui, l’apparizione di nuovi concetti
quali: l’emanazione delle forze del male dalla colonna di sinistra,
l’assimilazione dell’intero albero con il corpo umano dove si fronteggiano le
energie maschili e femminili, e l’equilibrio della bilancia [matkela] tra queste due forze
come elemento imprescindibile per la sopravvivenza dell’universo che
diversamente non potrebbe sussistere, come dimostra la caduta dei mondi
precedenti: i sette re di Edom che perirono tutti perché non conobbero la
femmina, mentre solo l’ottavo, che prese moglie, sopravvisse. Ai passi di Genesi 36,31-39 e di I Cronache1,43-50, si richiamano
espressamente tre dei cosiddetti “capitoli parassiti” dello Zohar: Aesh
mezareph [capitoli I e VII], Siphra de-Ẓeni’uta o Libro del Mistero Nascosto [all’inizio del I
capitolo] e Idra Rabba Qadusha [Maggiore Santa
Assemblea], capitolo XXVI, paragrafi da 513 a 535.
Si è già
vista, a proposito del Cantico dei Cantici
e di alcuni passi dello Zohar, l’importanza dell’unione dell’uomo e
della donna per cogliere l’Uno nella sola forma possibile che è quella
dell’unificato, emerge ora l’esigenza, perché l’universo possa sussistere, di
un universo bilanciato tra il principio maschile e quello femminile, tant’è che
nel Genesi, che è la narrazione di un mondo finalmente equilibrato, è
detto che
Dio creò l'uomo a propria immagine e somiglianza e che lo creò maschio e
femmina (Genesi, I:26-27). Questi due versetti hanno spesso generato
l’equivoco di un Grande Androgino primordiale dotato insieme della capacità di
generare [principio femminile] e di fecondare [principio maschile]. L’esigenza di conciliare i due princìpi conduce
numerose tradizioni ad assumere una concezione di tal genere, anche se la
tradizione egizia e la maggior parte delle tradizioni orientali, eliminando il
ruolo determinante della vagina e dell'utero fanno nascere tutto da un gesto
solitario del Dio primordiale. Ciò non esclude, d'altra parte, la presenza nel
pantheon egizio di divinità androgine. Una è Hapi, dio del Nilo, le cui acque
celano il fuoco fecondatore, raffigurato come un uomo pingue e dotato di
mammelle; l'altra è Mut, grande madre, dotata insieme di organi sessuali
maschili e femminili, rappresentazione della natura naturans e per molti
versi assimilabile, nella mitologia greca, alla dea Cibele. Le due divinità,
tuttavia, rinviano ad un primordiale dio solare che, mediante masturbazione o
semplicemente sputando, crea la prima coppia dell'Enneade, alla quale
appartengono, tra l'altro, Nut e Geb, cielo e terra, Osiride e Iside, sole e
luna. Greca
d'importazione, Cibele è in realtà, in origine, la dea ittita Kubaba che dalle
sponde dell'Eufrate trascorre in Asia Minore e in Frigia col nome di Kubebe e
Kybele. In nessun caso, Cibele può essere assimilata a Rea come fecero i Greci
e i Romani, la sua peculiarità, infatti, è di non essere soltanto la Grande Madre degli
dei e degli uomini, ma di incarnare un principio più arcaico e primordiale.
Cibele è la natura naturante nel momento del Caos, l'unità
indifferenziata di maschio e femmina, allorché il principio creativo che è in
lei non ha ancora operato la trasformazione in natura naturata. In
Frigia, nei pressi di Pessinunte, su una scogliera deserta, Cibele si
manifestava come roccia o pietra nera (Agdos). Attis o Atti, discendente
da seme divino caduto sulla pietra, tentò invano di vivere la propria
sessualità maschile, unendosi in nozze con Atta, la figlia del re Mida di
Pessinunte. Ad impedire le nozze, sopraggiunse Cibele nella sua veste
maschile e violenta di Agdistis. Al suono della siringa di Pan, Cibele-Agdistis
provocò la follia dei convitati e dello stesso Attis che si evirò sotto un
pino, assumendone poi la forma e tornando così all'androginia originaria e
primordiale.
"Questa concezione di Dio dotato di
doppia natura – scrive B.Maria Todini Portogalli – femminile e maschile, è
molto comune […] si ritrova nei neoplatonici, negli gnostici, nell'orfismo e
ripetutamente negli scritti ermetici ... ed è strettamente connessa con l'altra
concezione, per cui la natura propria e peculiare di Dio è il
generare...".[1] Nella
tradizione ebraica i pareri sono discordi: "Il fatto che uomo e donna,
insieme, siano creati a immagine di Dio sottintende che Dio sia un'entità
maschile/femminile, e non solo maschile", scrive G. Dreifuss in Maschio
e femmina li creò. L'amore e i suoi simboli nelle scritture ebraiche (La Giuntina , Firenze, 1996,
p. 30). Tesi, questa, condivisa da autori come Kaplan e Moshe Idel. Dreifuss,
tuttavia, osserva che “nel giudaismo normativo questa immagine di un'entità
divina maschile/femminile non trova espressione” (Ibid.,p.31), mentre è
presente nella letteratura midrashica (Genesi Rabbah 8:1 e 17:6, Levitico
Rabbah, 14:1, Midrash Salmi, 139, bEruvim, 18a ),
contrariamente a ciò che sostiene E. Zolla (The Androgyne. Fusion of the
Sexes, trad.it., Incontro con l'androgino, red edizioni, Como, 1995,
p. 57), un autore che, per la verità, non sembra avere molta dimestichezza con
“la tradizione esoterica ebraica” cui, pure, dedica un paragrafo di questo suo
libello. L'immagine maschile/femminile della divinità è anche ben presente
nella Qabbalah dello Zohar e, soprattutto, nella qabbalah luriana dei Partzufim,
dove il carattere antropomorfico della divinità è addirittura esaltato. Fa
tuttavia notare Moshe Idel che in nessun caso l'unione del maschio e della
femmina è funzionale all’emergere di una divinità androgina, ma è piuttosto
“l'insistenza per l'ottenimento di una relazione armoniosa tra principi
opposti, la cui esistenza separata è indispensabile per il benessere
dell'intero universo. O per dirla con altre parole: la cabala teosofica non ha
cercato una ristrutturazione drastica dell'esistenza, sia attraverso la
trasformazione del femminile in maschile, sia attraverso la loro fusione finale
in un'entità bisessuata o asessuata [...] Nella concezione gnostica, il mondo
inferiore deve sforzarsi di copiare la regola superiore dell'androginia o della
asessualità. L'attitudine gnostica risulta essere a certo riguardo simile
all'attitudine cristiana di fronte alla sessualità, esse costituiscono un
aspetto importante del loro più generale rigetto di questo mondo; le
escatologie gnostiche e cristiane propongono una salvezza spirituale che
riguarda sia la restaurazione dell'androginia paradisiaca sia uno statuto di
asessualità per il credente.”[2]
Più avanti, in nota, Moshe Idel riporta, condividendolo, il pensiero del Meeks
(The image of the Androgyne, p. 186): "Nell'ebraismo, il mito
dell'androgino serve a risolvere un dilemma esegetico e a consolidare la
monogamia". E Moshe Idel osserva: "In ogni caso, la cabala estatica
utilizza a volte una produzione di immagini androginiche, sotto l'influenza
della filosofia greca, e attraverso la mediazione delle opere di Maimonide
[...] Un'altra differenza cruciale tra le concezioni ebraiche e greche
dell'androginia è la visione ebraica positiva della separazione tra il maschio
e la femmina, mentre in Platone la separazione è vista come una
punizione..."[3]
S E G U E
sergio
magaldi
1 Cfr. B.Maria Todini Portogalli in una nota
del Pimandro, Discorsi di Ermete Trismegisto, Boringhieri, I
Ed.,1965, p. 31, nota 5.
[2] cfr. M. Idel, Cabala ed erotismo,
Mimesis, Milano, 1993, pp. 35 - 36.
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