venerdì 10 agosto 2018

NOTE SULLA QABBALAH: parte XIII, natura dell’Uno e delle Sephirot





 SEGUE DA:




NOTE SULLA QABBALAH: parte IV, l’uno e le porte della conoscenza (clicca sul titolo perleggere)
NOTE SULLA QABBALAH: parte V, l’uno e l’unificato (clicca sul titolo per leggere)








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NATURA DELL’UNO E DELLE SEPHIROT

Altrove, Recanati vede nelle sephiroth altrettanti “specchi” che via via degradano dalla luce suprema sino a Malkut, definita “specchio opaco” perché è la più distante “dalla grande fonte” e racchiude in sé “gocce di oscurità” che manifestano “l’attributo del rigore” [Ibid.]. Ormai, come si vede, le sephiroth sono diventate altro da quello che erano nel Sepher Yetzirah: 1) Non si identificano con l’Uno, ma partecipano della sua stessa natura e sono da lui emanate. 2) Sono ordinate in modo gerarchico. 3) La decima sephirah, ormai lontana dalla luce primordiale, lascia intravedere “gocce di oscurità” che preludono al male e al rigore.

 Riferendosi alle sephiroth, lo Zohar le definisce spesso come sitrin (aspetti) o come levushim (vesti) di Dio. In un brano del Tikunei ha-Zohar è detto tra l’altro: “Ti nascondi in esse, e fin quando rimani in esse, il loro equilibrio non ha modificazione, chiunque separi una di queste dieci dall’altra, sarà come se dividesse la tua Unità […] Hai preparato per loro delle vesti che servono alla anime umane […] tutte queste cose (sono dette da Te) per fare conoscere all’uomo la tua forza e la tua onnipotenza, per mostrare come l’universo è governato tramite il Rigore (din) e la Misericordia (rachamim), che sono la giustizia (zedeq) ed il diritto (mishpat), secondo le azioni degli uomini. Insomma, nella letteratura zoharica, le sephiroth, da forme pure trascendentali che erano nel Sepher Yetzirah, si sono trasformate in strumenti e/o contenitori dove la luce è sempre la stessa, ma riflessa in modo diverso e dove la loro collocazione sull’Albero dell’emanazione si dispone in una destra, un centro e  una sinistra. Di qui, l’apparizione di  nuovi concetti quali: l’emanazione delle forze del male dalla colonna di sinistra, l’assimilazione dell’intero albero con il corpo umano dove si fronteggiano le energie maschili e femminili, e l’equilibrio della bilancia [matkela] tra queste  due forze  come elemento imprescindibile per la sopravvivenza dell’universo che diversamente non potrebbe sussistere, come dimostra la caduta dei mondi precedenti: i sette re di Edom che perirono tutti perché non conobbero la femmina, mentre solo l’ottavo, che prese moglie, sopravvisse. Ai passi di Genesi 36,31-39 e di I Cronache1,43-50, si richiamano espressamente tre dei cosiddetti “capitoli parassiti” dello Zohar: Aesh mezareph [capitoli I e VII],  Siphra de-Ẓeni’uta o Libro del Mistero Nascosto [all’inizio del I capitolo] e  Idra Rabba Qadusha [Maggiore Santa Assemblea], capitolo XXVI, paragrafi da 513 a 535.

 Si è già vista, a proposito del Cantico dei Cantici  e di alcuni passi dello Zohar, l’importanza dell’unione dell’uomo e della donna per cogliere l’Uno nella sola forma possibile che è quella dell’unificato, emerge ora l’esigenza, perché l’universo possa sussistere, di un universo bilanciato tra il principio maschile e quello femminile, tant’è che nel Genesi, che è la narrazione di un mondo finalmente equilibrato, è detto che Dio creò l'uomo a propria immagine e somiglianza e che lo creò maschio e femmina (Genesi, I:26-27). Questi due versetti hanno spesso generato l’equivoco di un Grande Androgino primordiale dotato insieme della capacità di generare [principio femminile] e di fecondare [principio maschile]. L’esigenza di conciliare i due princìpi conduce numerose tradizioni ad assumere una concezione di tal genere, anche se la tradizione egizia e la maggior parte delle tradizioni orientali, eliminando il ruolo determinante della vagina e dell'utero fanno nascere tutto da un gesto solitario del Dio primordiale. Ciò non esclude, d'altra parte, la presenza nel pantheon egizio di divinità androgine. Una è Hapi, dio del Nilo, le cui acque celano il fuoco fecondatore, raffigurato come un uomo pingue e dotato di mammelle; l'altra è Mut, grande madre, dotata insieme di organi sessuali maschili e femminili, rappresentazione della natura naturans e per molti versi assimilabile, nella mitologia greca, alla dea Cibele. Le due divinità, tuttavia, rinviano ad un primordiale dio solare che, mediante masturbazione o semplicemente sputando, crea la prima coppia dell'Enneade, alla quale appartengono, tra l'altro, Nut e Geb, cielo e terra, Osiride e Iside, sole e luna. Greca d'importazione, Cibele è in realtà, in origine, la dea ittita Kubaba che dalle sponde dell'Eufrate trascorre in Asia Minore e in Frigia col nome di Kubebe e Kybele. In nessun caso, Cibele può essere assimilata a Rea come fecero i Greci e i Romani, la sua peculiarità, infatti, è di non essere soltanto la Grande Madre degli dei e degli uomini, ma di incarnare un principio più arcaico e primordiale. Cibele è la natura naturante nel momento del Caos, l'unità indifferenziata di maschio e femmina, allorché il principio creativo che è in lei non ha ancora operato la trasformazione in natura naturata. In Frigia, nei pressi di Pessinunte, su una scogliera deserta, Cibele si manifestava come roccia o pietra nera (Agdos). Attis o Atti, discendente da seme divino caduto sulla pietra, tentò invano di vivere la propria sessualità maschile, unendosi in nozze con Atta, la figlia del re Mida di Pessinunte. Ad impedire le nozze, sopraggiunse Cibele nella sua veste maschile  e violenta di Agdistis. Al suono della siringa di Pan, Cibele-Agdistis provocò la follia dei convitati e dello stesso Attis che si evirò sotto un pino, assumendone poi la forma e tornando così all'androginia originaria e primordiale.

 "Questa concezione di Dio dotato di doppia natura – scrive B.Maria Todini Portogalli – femminile e maschile, è molto comune […] si ritrova nei neoplatonici, negli gnostici, nell'orfismo e ripetutamente negli scritti ermetici ... ed è strettamente connessa con l'altra concezione, per cui la natura propria e peculiare di Dio è il generare...".[1] Nella tradizione ebraica i pareri sono discordi: "Il fatto che uomo e donna, insieme, siano creati a immagine di Dio sottintende che Dio sia un'entità maschile/femminile, e non solo maschile", scrive G. Dreifuss in Maschio e femmina li creò. L'amore e i suoi simboli nelle scritture ebraiche (La Giuntina, Firenze, 1996, p. 30). Tesi, questa, condivisa da autori come Kaplan e Moshe Idel. Dreifuss, tuttavia, osserva che “nel giudaismo normativo questa immagine di un'entità divina maschile/femminile non trova espressione” (Ibid.,p.31), mentre è presente nella letteratura midrashica (Genesi Rabbah 8:1 e 17:6, Levitico Rabbah, 14:1, Midrash Salmi, 139, bEruvim, 18a ), contrariamente a ciò che sostiene E. Zolla (The Androgyne. Fusion of the Sexes, trad.it., Incontro con l'androgino, red edizioni, Como, 1995, p. 57), un autore che, per la verità, non sembra avere molta dimestichezza con “la tradizione esoterica ebraica” cui, pure, dedica un paragrafo di questo suo libello. L'immagine maschile/femminile della divinità è anche ben presente nella Qabbalah dello Zohar e, soprattutto, nella qabbalah luriana dei Partzufim, dove il carattere antropomorfico della divinità è addirittura esaltato. Fa tuttavia notare Moshe Idel che in nessun caso l'unione del maschio e della femmina è funzionale all’emergere di una divinità androgina, ma è piuttosto “l'insistenza per l'ottenimento di una relazione armoniosa tra principi opposti, la cui esistenza separata è indispensabile per il benessere dell'intero universo. O per dirla con altre parole: la cabala teosofica non ha cercato una ristrutturazione drastica dell'esistenza, sia attraverso la trasformazione del femminile in maschile, sia attraverso la loro fusione finale in un'entità bisessuata o asessuata [...] Nella concezione gnostica, il mondo inferiore deve sforzarsi di copiare la regola superiore dell'androginia o della asessualità. L'attitudine gnostica risulta essere a certo riguardo simile all'attitudine cristiana di fronte alla sessualità, esse costituiscono un aspetto importante del loro più generale rigetto di questo mondo; le escatologie gnostiche e cristiane propongono una salvezza spirituale che riguarda sia la restaurazione dell'androginia paradisiaca sia uno statuto di asessualità per il credente.”[2] Più avanti, in nota, Moshe Idel riporta, condividendolo, il pensiero del Meeks (The image of the Androgyne, p. 186): "Nell'ebraismo, il mito dell'androgino serve a risolvere un dilemma esegetico e a consolidare la monogamia". E Moshe Idel osserva: "In ogni caso, la cabala estatica utilizza a volte una produzione di immagini androginiche, sotto l'influenza della filosofia greca, e attraverso la mediazione delle opere di Maimonide [...] Un'altra differenza cruciale tra le concezioni ebraiche e greche dell'androginia è la visione ebraica positiva della separazione tra il maschio e la femmina, mentre in Platone la separazione è vista come una punizione..."[3]


S E G U E

sergio magaldi






1 Cfr. B.Maria Todini Portogalli in una nota del Pimandro, Discorsi di Ermete Trismegisto, Boringhieri, I Ed.,1965, p. 31, nota 5.
[2] cfr. M. Idel, Cabala ed erotismo, Mimesis, Milano, 1993, pp. 35 - 36.
[3]  M. Idel, op.cit., nota 84, p. 55.

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