giovedì 30 dicembre 2021
mercoledì 29 dicembre 2021
sabato 25 dicembre 2021
giovedì 23 dicembre 2021
giovedì 16 dicembre 2021
domenica 12 dicembre 2021
LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA' E DOGMATISMO (Parte tredicesima)
SEGUE
DA:
LE
FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte prima)
LE
FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E
DOGMATISMO (Parte seconda)
LE
FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte terza)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte quarta)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte quinta)
LE FORME DEL
PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO
(Parte sesta)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’
E DOGMATISMO (Parte settima)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’
E DOGMATISMO (Parte ottava)
LE
FORME DEL PENSIERO:
CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte
nona)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’
E DOGMATISMO (Parte decima)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’
E DOGMATISMO (Parte undicesima)
LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte dodicesima)
Emerge tuttavia una continuità tra la Qabbalah
di Isacco il cieco e quella del Chassidismo. In entrambe si direbbe quasi che
il pensiero oscilli di continuo tra devozione religiosa e nihilismo, tra
ricerca impossibile di giungere sino all'Uno nel tentativo almeno di cogliere
il significato più autentico dell'azione divina e la consapevolezza di chi
conosce in anticipo l'inutilità e la nullificazione di ogni azione umana votata
in tal senso.
L'esemplificazione
di tale tragico paradosso insito nel pensiero sapienziale della Qabbalah
ebraica si trova forse - come è stato messo in evidenza da Gershom Scholem,
Martin Buber, Karl Grozinger e tanti altri - nell'universo letterario di Kafka.
Addirittura G.Scholem soleva dire che per capire veramente la Qabbalah
bisognerebbe prima aver letto i libri di Franz Kafka. Nei romanzi dello
scrittore praghese si disegna infatti, contemporaneamente, la speranza teurgica
propria della Qabbalah storica e la ‘rinuncia’ chassidica portata sino alle
estreme conseguenze.
L’impossibilità
di giungere al Signore del Castello, come l’impossibilità di
ottenere il giudizio nel Processo non dipendono
dall’irascibile Dio del Vecchio Testamento, neppure il ‘silenzio’ di Dio
dipende dalla Sua ‘morte’ e la condanna nell’apparente innocenza, così come per
Giobbe, non dipende dall’esistenza di un Demiurgo malvagio che Kafka avrebbe in
comune con Marcione e i marcioniti secondo il fortunato ma per me errato giudizio
di Remo Cantoni.
La
Qabbalah nell'accennare al progetto divino del mondo, individua nella teurgia
lo strumento del Tiqqun, della riparazione e della restaurazione,
ma l’impresa rivela subito la sua natura prometeica e superba e deve essere
punita. Persino in Abramo ‘la sincera convinzione’ di essere sulla via
giusta diventa superbia e questa stessa ubris guida
Josef K. nel Processo e l’agrimensore K. nel Castello;
il loro fallimento è il fallimento stesso dell’azione teurgica come istanza
riparatrice, né migliore fortuna arride alla variante teurgica proposta dal
Chassidismo dove è il Rebbe, lo Zaddik ad intercedere per la comunità.
L’aiuto
nel tribunale del Processo come nel villaggio del Castello si
rivela illusorio quando non addirittura fuorviante. Eppure, questo pensare
l’inadeguatezza della teurgia non si colloca fuori dell’ebraismo e della
Qabbalah, né è vissuto da Kafka con angoscia. 'L’angoscia
intollerabile' di cui parlò André Gide s’impadronisce piuttosto dei lettori e
deve servire ad allontanarli dall’agire frenetico. Il fatto è che lo scrittore
ceco ci invia un messaggio preciso che non è la denuncia dell’incapacità umana
di spingersi con il suo agire fin su…, bensì la lucida consapevolezza non tanto
dell’inutilità del desiderio di ascesa, quanto piuttosto della pericolosità
prometeica di tale desiderio. Scrive in proposito Bernhard Rang:
«Nella
misura in cui si può considerare il castello come sede della grazia, tutti
questi vani tentativi e sforzi significano appunto -in termini teologici- che
la grazia divina non si lascia ottenere e costringere dall’arbitrio e dalla
volontà dell’uomo. L’inquietudine e l’impazienza non fanno che impedire e
confondere la sublime quiete del divino». (Cfr.in W.Benjamin, Angelus Novus,
tr.it., Milano,1965,p.292).
A
sostegno di tale interpretazione basterebbero alcuni pochi aforismi di Kafka
contenuti negli Otto quaderni in ottavo, a cominciare dal più breve
di tutti: “Chi cerca non trova, ma chi non cerca viene trovato”
S E G U E
sergio magaldi
lunedì 6 dicembre 2021
domenica 5 dicembre 2021
LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA' E DOGMATISMO (Parte dodicesima)
SEGUE
DA:
LEFORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte prima)
LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ EDOGMATISMO (Parte seconda)
LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte terza)
LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte quarta)
LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte quinta)
LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte sesta)
LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte settima)
LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte ottava)
LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte nona)
LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte decima)
LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte undicesima)
Non
è mia intenzione, peraltro, entrare nel merito della questione riguardante
l'origine mitica della Qabbalah, se sia cioè, per così dire, una 'rivelazione
primordiale' concessa ad Adamo o magari 'la parte esoterica' della Legge che
Mosè ricevette sul Sinai, come suggerisce Gershom Scholem. La Qabbalah nasce
storicamente nel XII secolo, sulla sponda occidentale del Mediterraneo, tra le
comunità ebraiche di Linguadoca, una terra tanto fiorente nel commercio quanto
progredita nel viver civile e nella tolleranza da essere, per quei tempi,
certamente esemplare. E' vero, d'altra parte, che 'la nascita medievale' della
Qabbalah non esclude una nascita sua più antica, derivando i suoi
contenuti dalla riflessione e dall'approfondimento della religione biblica
e della tradizione rabbinica, sia attraverso la parola scritta, sia più
diffusamente attraverso la comunicazione bocca-orecchio, sicuramente non
esclusiva dell'esoterismo ebraico.
Quel che è certo è che, nel suo esordio storico, sia in Provenza,
sia soprattutto in Catalogna, nella celebre scuola di Girona, Isacco il cieco
insegni che occorre tralasciare ogni speculazione con riguardo tanto all'Uno
quanto al Nulla. Non è a caso che la ricerca dei perushim -
gli studiosi di Qabbalah - si limiti per un verso all'Opera della Creazione
o Ma’asè Bereshit e per altro verso all'Opera del Carro
o Ma’asè Mercavah. Con la prima intendendo il libero commento del
Genesi o Bereshit per il quale è noto a tutti che la lettera
Beit, con cui ha inizio la narrazione, è una lettera aperta solo da un lato a
significare che unicamente gli eventi accaduti dopo il Bereshit o
Principio sono accessibili all’indagine umana. Con la seconda, mediante la
cosiddetta discesa nella Mercavah, facendo riferimento al
viaggio nella propria interiorità, alla ricerca di quei centri 'sottili' di
consapevolezza detti Hekalot o Palazzi, assai simili, peraltro
ai Chakras dell'induismo e ai 'soffi vitali' descritti
nelle Upanisad. Sono centri 'sottili' e tuttavia hanno una
corrispondenza nel corpo umano. Se si permette all’energia spirituale di
scorrere e di soffermarsi su ciascuno di loro, non solo se ne trarrà motivo di
benessere fisico e di purificazione ma sarà anche possibile accedere a visioni
di esperienza non ordinaria.
Tutto
ha inizio con il primo Palazzo. In lui è racchiuso, secondo il Sepher
ha Zohar (41a) - il libro più complesso e più famoso della letteratura
cabbalistica - 'il mistero dei misteri'. Luz, con riferimento
biblico è detto il suo luogo, 7 il suo valore numerico (Lamed 30 +Waw 6 +Zain 7
=43=7) ad indicare che sette sono i centri di consapevolezza; nel corpo
dell' uomo corrisponde al coccige, dove la colonna vertebrale termina nel punto
più lontano dalla testa o dove inizia nel punto più vicino alla terra. Livnat
ha Sapir, Mattone di zaffiro, è il suo nome. Dove il mattone è appunto
simbolo della materia, cioè della densità della costruzione di luce e di
energia che viene dall'alto. L' opera della Merkavà o opera del Carro non può
che iniziare di qui, dove la prima manifestazione di luce e il principio
stesso della luce si trovano insieme racchiusi nella densità della materia. Non
a caso il suo nome in sanscrito, Muladhara, significa radice. Una
concentrazione su questo centro produce immediatamente calore. Un suo
funzionamento squilibrato produce eccesso di cibo e di sesso, avidità,
diffidenza, aggressività, paura e insicurezza, debolezza fisica e disturbi
della circolazione sanguigna periferica.
Se
la scuola di Isacco il cieco prima e l'apparizione dello Zohar alla fine del XIII
secolo, al di là degli antecedenti metastorici della Qabbalah, rappresentano i
momenti di maggiore originalità e di più intensa affermazione del pensiero
sapienziale e simbolico degli Ebrei sefarditi, occorre ricordare che fu
soprattutto con Yizhaq Luria, nel XVI secolo, che la Qabbalah venne
progressivamente affrancandosi dal testo biblico e dalla lezione rabbinica,
reclamando sempre più un'autonoma e peculiare capacità di rielaborazione e
di approfondimento. E fu principalmente merito del movimento chassidico,
sviluppatosi nella prima metà del Settecento tra gli ebrei aschenaziti
dell'Europa centrale e orientale, se la Qabbalah da movimento
prevalentemente speculativo, magico e devozionale venne via via
privilegiando la dimensione psicologica e la finalità iniziatica, nel senso
cioè di rappresentare un cammino interiore di rettificazione e di progressivo
perfezionamento da realizzarsi sia privatamente sia in seno alla comunità
(devoti, chasidim) guidata da un giusto o zaddiq.
S E G
U E
sergio magaldi
venerdì 3 dicembre 2021
martedì 30 novembre 2021
L A FILOSOFIA DI ALLEGRI
Dalla sommità del suo contratto
quadriennale a 9 milioni netti di euro l’anno, l’allenatore juventino snocciola
pillole di saggezza del tipo “restiamo calmi” o “non ci agitiamo” che evocano
ad un tempo il romano Sor Tranquillo che, com’è noto, per la troppa calma finì
sotto un tram, e il cinese Mao Tse-tung in una delle tante massime goliardiche
che gli venivano attribuite.
C’è di più. Insieme a queste preziose norme morali di comportamento, il trainer bianconero ha preso ormai a intrattenere la stampa inanellando le perle della sua filosofia del calcio, come: “Il calcio è semplice”, “Vince il campionato chi ha a favore la maggiore differenza reti”(?!), “Il risultato è l’unica cosa che conta”, “Nel calcio bisogna saper stoppare bene la palla, passarsela bene, smarcarsi bene”, oppure lasciandosi andare a vere e proprie rivelazioni, come nella conferenza stampa di ieri, quando ha dichiarato che, contro l’Atalanta, Morata ha fatto una delle sue migliori partite o come in altra circostanza in cui ha rimproverato la squadra di verticalizzare troppo (sic!). E ancora: che le punte bianconere (Morata, Dybala e Kean) vantano un notevole potenziale di goal.
Per la verità, Morata si è dato davvero un gran daffare contro i bergamaschi, giocando a tutto campo come gli chiede il suo allenatore, tant’è che l’unico goal della vittoria atalantina nasce proprio da un tiro dello spagnolo non contro la porta avversaria ma verso la propria e intercettato da Duvan Zapata. Quanto a vedere la Juve che verticalizza persino troppo, solo Allegri ci riesce, perché tutti osservano piuttosto il contrario: passaggi orizzontali o all’indietro a non finire e spesso sbagliati, difesa bassa, punte sempre lontane dall’area di rigore avversaria, rare ripartenze individuali senza mai un vero e proprio gioco offensivo che scaturisca dall’azione del collettivo.
Circa i goal delle punte, in Campionato siamo a
L’ultima perla di Allegri nella conferenza di ieri è stata la rivelazione che la partita di questa sera contro la Salernitana, ultima in classifica, sarà difficilissima… e c’è da credergli!
venerdì 26 novembre 2021
QATAR 2022: ITALIA O PORTOGALLO?
Il solito sorteggio “intelligente” ha deciso la
composizione degli spareggi di marzo per la qualificazione ai mondiali di
calcio di Qatar 2022.
Nel girone A, così come sempre avviene nei sorteggi dei gironi di Champions, si determina “il raggruppamento” delle squadre ritenute meno forti anche in base al ranking mondiale, in parte distinte regionalmente (le due britanniche): una tra Scozia-Galles-Ucraina e Austria andrà al mondiale. Nel girone B si ritrovano le nazionali del nord europeo di supposta media forza: parteciperà a Qatar 2022 una tra Russia-Polonia-Svezia e Repubblica Ceca. Nel gruppo C, infine, l’unica qualificata scaturirà dalle quattro nazionali dell’area mediterranea: la Macedonia del Nord e la Turchia (che naturalmente non essendo teste di serie non potranno scontrarsi tra di loro, causando eventuali incidenti tra le opposte tifoserie) il Portogallo, vincente le penultime edizioni dei Campionati Europei e della Nations League, e l’Italia, Campione d’Europa in carica.
Spiace subito osservare che una delle due (o magari tutte e due, ma è poco credibile) tra Portogallo e Italia (rispettivamente 8.ava e 6.a del ranking mondiale) non parteciperà ai mondiali. Più probabilmente l’Italia, perché l’eventuale finale tra portoghesi e italiani, sempre in base allo stesso sorteggio intelligente, avverrà in Portogallo, laddove sarebbe stato più sportivo scegliere una sede neutra. Ma tant’è, così hanno deciso, insieme a tutto il resto, gli arcinoti dei del calcio per le solite ragioni di geopolitica.
D’altra parte, gli azzurri di Mancini hanno buttato via la qualificazione per ben tre volte, nell’ordine: pareggiando in casa con la Bulgaria, sbagliando il rigore della vittoria una prima volta in casa della Svizzera e una seconda volta a casa propria contro la stessa Svizzera che, com’è noto, si è così qualificata al posto nostro senza passare per gli spareggi. L’ultima occasione, in particolare e per la verità, è stato un vero e proprio dono del cielo: quel rigore riesumato dal Var e tirato clamorosamente alle stelle nell’ultimo minuto di Italia-Svizzera deve aver suscitato lo sdegno degli dei! Anche per la ubris di chi ha fatto tirare il rigore a chi lo aveva sbagliato già nelle due precedenti occasioni (determinante in Svizzera-Italia e ininfluente in Inghilterra-Italia).
Ora gli stessi dei ci dicono di arrangiarci: battere la Macedonia del Nord e andare in Portogallo a strappare la qualificazione contro la nazionale di Cristiano Ronaldo, se ne saremo capaci. Intanto non si fa che parlare di nuovi “acquisti” per l’Italia del calcio in vista degli spareggi. Oriundi, naturalizzati, figli e/o nipoti di migranti sulla scia di tutte le nazionali più importanti. Il dibattito ferve e ci si divide tra i soliti “duri e puri” che hanno a cuore il primato della “razza italica” e gli “empirici” che invocano l’arruolamento nelle file azzurre di campioni già naturalizzati o in via di esserlo. Si parla dei brasiliani João Pedro (già “italiano” da due anni), di Luiz Felipe e di Ibañez (che continuano a sognare la nazionale brasiliana). Questo passa il convento. Gli ultimi due sono centrali di difesa e al momento non sarebbero titolari. João Pedro, invece, è la punta che potrebbe regalarci qualche goal (visto che gli attaccanti azzurri neocampioni d’Europa stentano a trovare la via della rete) utile per la qualificazione a Qatar 2022. Né meraviglia non aver pensato a lui già due anni fa, se si considera che Kean, l’ “italianissimo” dalla pelle scura, è stato escluso dagli Europei peraltro senza conseguenze, visto che poi abbiamo vinto il titolo continentale.
giovedì 25 novembre 2021
domenica 21 novembre 2021
venerdì 19 novembre 2021
mercoledì 17 novembre 2021
Azzurri del calcio con un piede fuori dai mondiali del 2022
La nazionale
italiana di calcio, campione di Europa in carica, rischia di non partecipare
per la seconda volta consecutiva alla fase finale dei mondiali. Va ai playoff
insieme ad altre 11 squadre che si scontreranno per accedere agli ultimi tre
posti disponibili. Messa così, l’impresa appare piuttosto ardua, perché su 12
squadre ammesse ai playoff, ben 9 saranno le escluse. In realtà, come vedremo
subito dopo, si tratta di vincere due partite.
Quali le cause della mancata qualificazione dell’Italia? Gli addetti ai lavori parlano di “appagamento” dopo la recente vittoria degli Europei, di “molte assenze” dei titolari per infortunio (Spinazzola, Chiellini, Verratti e Immobile e pochi altri che in realtà non sono mai stati titolari), di “scarsa condizione di forma” di alcuni giocatori che furono determinanti nel grande successo dell’estate scorsa. Per la verità, sembra difficile parlare di appagamento quando si tratta di partecipare alla massima competizione del calcio e, per quanto riguarda le assenze, occorre ricordare che gli azzurri hanno trionfato anche senza la presenza stabile dei quattro titolari sopra citati, in particolare di Spinazzola, assente nelle ultime partite, determinanti per la conquista del titolo. Giusta invece l’analisi circa la cattiva condizione di forma di molti protagonisti di allora, ma ciò che non si sottolinea abbastanza è che la vittoria italiana degli Europei ha qualcosa in sé di inspiegabile e di miracoloso, considerando la rosa di molte altre nazionali, e che il successo, peraltro meritato, fu dovuto anche a circostanze forse irripetibili, come i pareggi nella semifinale e nella finale, trasformate in altrettante vittorie grazie ai calci di rigore. Quegli stessi rigori sbagliati nelle due recenti partite contro la Svizzera e che, nonostante tutto, ci avrebbero dato la qualificazione diretta per i mondiali del Qatar.
Il discorso sulla “scarsa forma” di oggi può dunque essere rovesciato: molti calciatori della nazionale giocarono la fase finale degli europei ben al di sopra il loro livello abituale e ciò che più conta, per così dire, lo fecero a turno. Scrivevo in un post di allora: “[…]uno dei fattori determinanti per comprendere il segreto della vittoria italiana è che, in ciascuna delle partite disputate, oltre ai tre campioni sopra citati (Donnarumma, Chiellini e Jorginho), hanno brillato di volta in volta stelle diverse: Spinazzola e Berardi contro la Turchia, ai due si è aggiunto Locatelli contro la Svizzera, poi Pessina contro il Galles [ … ]. E ancora: con l’Austria, ai soliti tre, si sono aggiunti Spinazzola e Chiesa, con il Belgio Insigne, con la Spagna di nuovo Chiesa e infine, con l’Inghilterra, Donnarumma ha coronato la sua grande prestazione, aggiudicandosi il titolo di migliore giocatore dell’europeo”.
D’altra parte, ancora in un post precedente (alla vigilia della manifestazione europea), avevo osservato: “Roberto Mancini … in 31 partite ha ottenuto 22 vittorie, 7 pareggi e 2 sole sconfitte. Un bilancio superiore a quello di qualsiasi altro selezionatore azzurro. Ciò su cui si sorvola, tuttavia, è il contesto nel quale sono avvenuti i tanti risultati positivi. Gli avversari sconfitti – tra amichevoli, UEFA Nations League, Qualificazioni europee e Qualificazioni ai mondiali del prossimo anno – si chiamano: Arabia Saudita, USA, Moldova, Estonia, San Marino, Bosnia, Ucraina, Finlandia, Armenia, Liechtenstein, Grecia, Irlanda, Bulgaria. Ci sono poi le vittorie contro Olanda e Polonia, con le quali però abbiamo anche pareggiato due volte. Gli altri 3 pareggi (oltre ai 4 già citati) sono avvenuti con Portogallo, Bosnia e Ucraina. Le due sconfitte contro Francia e Portogallo. Insomma, abbiamo perso con tutte e due le nazionali tra le maggiori del panorama europeo e con Olanda e Polonia, di livello medio, su tre partite disputate contro di loro, ne abbiamo vinto soltanto una”.
Dicevo, insomma, che l’Italia non era stata testata abbastanza per giustificare l’ottimismo mediatico della vigilia degli europei, e sono contento di essermi sbagliato. Ma il problema resta, perché il livello medio di questa nazionale, tranne qualche rara eccezione, resta non elevato, soprattutto quando i migliori non giocano al massimo delle loro possibilità, come invece è avvenuto agli europei.
A Mancini (che non ringrazieremo mai abbastanza per la conquista del titolo europeo) c’è forse solo da rimproverare di non aver impedito a Jorginho di tirare il rigore all’ultimo minuto di Italia - Svizzera che, con la vittoria, ci avrebbe dato la qualificazione mondiale. I due precedenti errori consecutivi dell’italo-brasiliano (Nella finale contro l’Inghiterra, poi fortunatamente vinta, e in Svizzera – Italia che ci avrebbe dato la vittoria per 1-0) avrebbero dovuto avvertirlo, anche in omaggio alla scaramanzia (non c’è due senza tre!).
Ora non resta che sperare nei playoff, nei sorteggi e nella possibilità che tutti i titolari azzurri alla fine di marzo - quando si disputeranno gli spareggi - siano in perfetta salute e in eccellente stato di forma e che magari i campionati di Serie a e di Serie b rivelino qualche insperato goleador, perché il problema della squadra azzurra è soprattutto quello di andare a rete: si pareggia troppo anche se non si perde. Delle 46 partite della gestione Mancini, l’Italia ne ha vinte 30, pareggiate 13 e perso 3 e nel girone di qualificazione ai mondiali non ha mai perso, ma con 4 vittorie e 4 pareggi (troppi) è costretta ai playoff. Testa di serie, l’Italia sarà inclusa in un girone a quattro e nella prima partita incontrerà una delle sei squadre designate con sorteggio – che si svolgerà il prossimo 26 novembre – tra Galles, Macedonia del nord, Turchia, Ucraina, Austria e Repubblica Ceca. Se vincente, disputerà la partita decisiva con una tra le altre cinque teste di serie sorteggiate per il suo girone e cioè: Portogallo o Scozia o Russia o Svezia o Polonia. La presenza della Svezia tra le possibili avversarie evoca il ricordo dell’esclusione dai mondiali di Russia del 2018. La presenza del Portogallo, evoca invece i goal di un campione come Cristiano Ronaldo.
giovedì 11 novembre 2021
LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA' E DOGMATISMO (Parte undicesima)
LE
FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E
DOGMATISMO (Parte prima)
LE
FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E
DOGMATISMO (Parte seconda)
LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E
DOGMATISMO (Parte terza)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte quarta)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte quinta)
LE FORME DEL
PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO
(Parte sesta)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’
E DOGMATISMO (Parte settima)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’
E DOGMATISMO (Parte ottava)
LE
FORME DEL PENSIERO:
CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte
nona)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’
E DOGMATISMO (Parte decima)
D'altra
parte, per appropriarsi veramente della Torah, della Legge,
occorrono all'ebreo 48 requisiti (VI, 5) di cui, circa la metà riguardano lo
studio e l'altra metà vanno divisi tra la comprensione del cuore, l'umiltà, il
buon carattere, il rispetto dei maestri, l'amore della giustizia e di tutte le
creature, l'osservanza della vita sobria. Il primo dei 48 requisiti è naturalmente
lo studio e l'ultimo è sorprendentemente la corretta e necessaria citazione
delle fonti. Dire una cosa, citando il nome di chi l'ha detta, riportare sempre
il nome dell'autore è causa di redenzione per il mondo secondo l'insegnamento
contenuto nel libro di Ester: "E disse Ester al Re, a nome di
Mardocheo..." (Ester, II, 22). La frase che Ester dice al re
Assuero si riferisce alla congiura ordita contro di lui e di cui la ragazza era
stata informata da Mardocheo, suo padre adottivo. Aver citato fedelmente
l'autore della preziosa notizia valse a Mardocheo la salvezza e fu motivo di un
editto di Assuero a favore degli Ebrei.
Va
da sé, d'altra parte, che questa morale rabbinica si ispiri ai libri
sapienziali del Vecchio Testamento, come appare in tutta evidenza
nelle parole di rabbi Ben Zòma':
"Chi
è veramente sapiente? Chi impara da ogni uomo; secondo quanto è
stato detto (Salmi,114, 99): 'da tutti coloro che mi insegnarono io
mi sono istruito'. Chi è veramente prode? Chi vince le sue tentazioni, secondo
quanto è stato detto (Proverbi, 16, 32): "E' meglio il longanime
del prode e chi domina il suo carattere di chi espugna una città". Chi è
veramente ricco? Chi si contenta della sua parte, secondo quanto è stato detto:
(Salmi, 128, 2): "Beato te e felice te, quando potrai mangiare
della fatica delle tue mani"..."(IV,1)
In
alcuni aforismi echeggia persino la lezione di Qoeleth: "Sii
molto umile davanti a chicchessia, perché, tanto, l'unica speranza umana sono i
vermi", osserva rabbi Levitàç (IV, 4) e 'Aqàbjàh ben
Mahalal'él risponde a suo modo alla triplice e fatidica domanda della
tradizione esoterica: "Rifletti a tre cose e tu non avrai mai a commetter
peccato: Sappi donde tu sei venuto, verso dove tu vada e dinanzi a Chi tu sarai
per render conto completamente delle tue azioni. Donde sei venuto? Da una
goccia putrida. Dove vai? Verso un luogo di polvere, vermi e lombrichi. Dinanzi
a chi sarai tu per render conto delle tue azioni? Davanti al Re dei Re, il
Santo, benedetto Egli sia" (III, 1)
Pur
tenendo presente l'osservazione di Yosef Colombo, circa la natura
sostanzialmente religiosa di ogni manifestazione ebraica, non si può
disconoscere alla Qabbalah, quale dottrina esoterica degli Ebrei, un'autonomia
di indagine, un approccio concettuale e simbolico ai temi della tradizione che
ne fanno una forma originale e unica di pensiero sapienziale.
S E G U E
sergio
magaldi
domenica 7 novembre 2021
martedì 2 novembre 2021
LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA' E DOGMATISMO (Parte decima)
SEGUE DA:
LE
FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte prima)
LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte seconda)
LE
FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte terza)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte quarta)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte quinta)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’
E DOGMATISMO (Parte sesta)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’
E DOGMATISMO (Parte settima)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’
E DOGMATISMO (Parte ottava)
LE
FORME DEL PENSIERO:
CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte
nona)
Tutte massime quelle
contenute in Sapienza, nei Proverbi, in Siracide o
nei Salmi per orientare il cammino del giusto, lo zaddiq
al quale la tradizione ebraica assegna un ruolo fondamentale. «Noè – scrive Dante Lattes – è il primo
tipo dello zaddiq, del giusto che passa incontaminato fra le
tristizie dei contemporanei. La figura dell’uomo giusto, che assumerà poi tanto
significato etico e una così vasta funzione redentrice nell’ideologia ebraica,
dalla Bibbia al Chassidismo, ha in Noè il suo primo modello (…) Noè è l’uomo;
l’uomo senza alcun altro aggettivo; non misurato secondo criteri di razza, di
lingua, di nazionalità, di religione (…) e quindi posto ad esempio alle
generazioni, per quanto remote e diverse dal suo tempo, o, se si vuole, in modo
relativo, secondo il grado di perversione del suo secolo». (Nel solco della Bibbia,
Laterza, Bari, 1953, p.39).
Noè è dunque ‘l’uomo giusto e integro tra i suoi contemporanei e
che camminava con Dio’ com’è detto in Genesi, 6,9. Noè salvato dal
diluvio perché ‘speranza del mondo’ come lo definisce il libro della Sapienza (14,16)
e perché prototipo di una umanità nuova in sostituzione della precedente che si
era macchiata di ogni violenza. Violenza contro Dio e soprattutto violenza
degli uomini tra di loro che la tradizione ebraica considera ancora più grave
dell’altra, giacché le colpe commesse dall’uomo contro Dio possono essere
rimesse nel giorno di Kippur, mentre le colpe dell’uomo contro
l’uomo possono essere rimosse solo mediante il perdono da parte dell’offeso.
Com’è noto, Dio stringe un patto con Noè, lo benedice insieme ai
suoi figli e dà loro alcuni precetti (i cosiddetti precetti noàchidi) con
valore universale, rivolti cioè non solo agli Ebrei, in quanto già compresi
nelle 613 Mitzvoth, ma ai giusti di tutte le nazioni. Il precetti noàchidi sono
7 di cui 1 positivo (Dovere di giustizia e dell’istituzione di giudici e
tribunali) e 6 negativi (Divieto di idolatria, bestemmia, relazioni sessuali
illecite, omicidio, furto e di cibarsi di animali vivi).
Più ancora che nei libri sapienziali del Vecchio
Testamento, è nel Pirqè Avòt -"Insegnamenti dei
padri" che il pensiero sapienziale degli Ebrei sembra identificarsi
strettamente con il pensiero religioso. Pirqè Avòt raccoglie
in sei capitoli le riflessioni di autori vissuti tra il V secolo av. C. e il II
secolo d. C. e si può a buon diritto considerarlo un trattato sapienziale di
morale ebraica o, ciò che è lo stesso, di morale religiosa. Osserva in
proposito Yoseph Colombo:
«E' morale religiosa, come religiose per
eccellenza sono tutte le manifestazioni culturali, politiche, spirituali del
popolo ebraico. Non bisogna dimenticare che il popolo ebraico è e si ritiene in
possesso, fin dai suoi primordi, dell'idea monoteistica e che la tradizione
ebraica ritiene di essere venuta in contatto con tale idea per rivelazione
divina. Ora, un popolo che ha come cardini del proprio pensiero questi elementi,
Dio e rivelazione, è un popolo che, qualunque cosa faccia, dovunque vada,
qualunque destino gli sia assegnato, porterà sempre con sé per informarne ogni
sua azione un carattere eminentemente religioso. Per cui, pur ammettendo (...)
che ci sia stata una speculazione ebraica, anch'essa sarà stata di carattere
religioso. Non già che la dottrina morale che può essere rintracciata in
questi Pirqè Avòt sia religiosa nel senso che sia eteronoma;
essa sostiene non tanto la provenienza divina della legge morale, quanto il
carattere divino della legge morale; è religiosa perché è ebraica, e gli Ebrei,
anche quando sentono ed esprimono l'autonomia del principio morale e
l'universalità ed assolutezza della legge del dovere, questa esprimono in
termini religiosi, inserendo la loro concezione morale nella più vasta visione
religiosa del mondo e della vita». (Pirque Aboth, Morale di maestri ebrei,
trad.it., introd. e commento di Y.Colombo, Carucci, Roma, 1986,
pp.XVII-XVIII).
Sorprende allora, pur nell'annunciata identificazione di pensiero
sapienziale e di pensiero religioso, trovare in questa sorta di rassegna del
pensiero rabbinico attraverso i secoli, che è il Pirqè Avòt, accenti di una laicità sconcertante
dove, per esempio, gli elementi della trascendenza divina e della sopravvivenza
dell'anima dopo la morte sembrano volutamente accantonati e dove in luogo del
consueto encomio dell'ignoranza, così caro alla maggior parte delle religioni
positive, perché disporrebbe alla purezza di spirito, troviamo l'invito allo studio
e alla frequentazione dei dotti:
«Sia la tua casa -
scrive il rabbi Jòçé figlio di Jo'èzér di Zeredà - un luogo di convegno per i
dotti; impòlverati della polvere dei loro piedi; e bevi con sete le loro parole» (I,4) e il rabbi Hillel ammonisce:
«Chi cerca fama,
perde quel po' che ne ha; ma chi non accresce il proprio sapere, finisce col
non saper più nulla; ché se poi uno non ha mai studiato, allora è degno di
morte" (I,13) e altrove: " ...non dire che studierai quando ne avrai
la possibilità, perché potresti non averla... l'uomo rozzo non si cura del
peccato e l'ignorante non può essere pio...» (II, 5-6)
S E G U E
sergio magaldi
mercoledì 27 ottobre 2021
martedì 26 ottobre 2021
NOTE SULLA NONA DI SERIE A
Bianconeri brutti ma non perdenti
Una Juventus più brutta del solito (e del
lecito) esce comunque imbattuta da San Sirio grazie al rigore (ineccepibile per
il VAR) trasformato da Dybala a un minuto dalla fine dei tempi regolamentari, "rischiando" addirittura di vincere nei sei minuti supplementari. Va bene il
difensivismo, che è sempre stato il marchio della Juve di Allegri, ma questa
volta si è esagerato, con scelte a dir poco incomprensibili: Mckennie e
Bernardeschi (che chiede di aspettare un minuto per la sostituzione dopo
l’infortunio alla spalla, facilitando così l’unico goal dell’Inter) centrocampisti
è troppo duro da vedere, così come un evanescente Morata per tutti i 96 minuti,
mentre Chiesa e Dybala entrano solo a mezz’ora dal termine e ai brasiliani
Arthur e Kaio Jorge sono concessi solo gli ultimi dieci minuti. Unica nota
positiva, il fatto che dopo le quattro vittorie per 1-0, la Juve riesca a non
perdere, restando a tre punti dall’Inter campione d’Italia e una tra le squadre
candidate allo scudetto di quest’anno. E per quanto riguarda Allegri, se non
gli si può perdonare che preferisca Bernardeschi a Chiesa, occorre
riconoscergli il merito che, dopo aver preso 10 goal nelle prime quattro
giornate, la Juve ne abbia presi soltanto 2 nelle ultime cinque.
Belli ma senza goal azzurri e giallorossi
Bella
partita quella tra Roma e Napoli, ma finita 0-0 e dove ognuna delle due squadre
avrebbe potuto vincere senza demerito. Il Napoli, se Osimhen non avesse colpito
il palo; la Roma, se Abraham (che nei tratti e in alcuni movimenti, ma non nel
gioco e nei goal, molto somiglia al centravanti partenopeo) non avesse tirato
fuori un pallone che era più facile depositare in rete.
Il pareggio contro il Napoli – che, al vertice della classifica, ha sin qui espresso il miglior calcio della Serie A – serve comunque alla Roma per ricompattarsi dopo l'incredibile 6-1 subito in Norvegia nella terza giornata di Conference League. Cosa fa Mourinho? Per rispondere alle critiche di chi gli rimprovera di fare pochi cambi, contro il Bodo, in un clima già molto freddo e su un campo sintetico, schiera tutti in una volta (con l’eccezione di Rui Patricio e di Ibañez) calciatori che mai avevano giocato insieme e che quasi mai erano stati impiegati in campionato. In particolare mette Villar a fare l’attaccante, lo spagnolo che nella Roma di Fonseca si era rivelato come un piccolo gioiello di centrocampo. Il primo tempo contro i norvegesi termina 2-1, ma quando nel secondo tempo entrano ben cinque titolari i goal presi dalla Roma diventano 6. Dunque Mourinho, a mio giudizio, non ha dimostrato nulla, ed è inconcepibile che giocatori come Kumbulla, Borja Mayoral (capocannoniere della Roma l’anno scorso con 17 goal, tra campionato e coppe) Villar e Diawara non siano neppure degni di sostituire i titolari, magari non tutti insieme.
Ciò
premesso, Mourinho resta un grande comunicatore e un vincente nato, come
mostrano i tanti titoli conquistati sui campi di mezza Europa. E tutta questa
manovra si giustifica in parte solo se è destinata a sollecitare la proprietà
perché a gennaio si convinca a nuovi acquisti. Resta il fatto che la Roma, dopo
9 giornate, ha un punto in meno dell’anno scorso e che continuando a giocare
tutte le partite con 13-14 giocatori rischia il crollo nei prossimi mesi. Anche
la politica societaria desta qualche perplessità: ci si impegna per acquisti sino
a circa 100 milioni di euro per giocatori che fino a questo momento non hanno
fatto vedere granché, regala Džeko all’Inter
e Pedro alla Lazio, e rischia ora di essere costretta a svendere diversi
giocatori della rosa. Inoltre, non mi convince il modulo dell’allenatore
portoghese: praticamente un 4-2-4 (come quello di Ventura, selezionatore della
nazionale italiana esclusa dai mondiali) che, come nel caso del disastroso
secondo tempo col Bodo si trasforma addirittura in un 4-1-5. E’ vero che con
questo modulo Mourinho ha vinto tanto, ma disponeva di grandi giocatori e i
tempi ora sono cambiati: si corre molto di più e c’è bisogno di più filtro a
centrocampo.
Rossoneri sempre protetti dagli dei del calcio
Dopo Verona – dove
nel primo tempo perdeva 2-0 e in rimonta vinceva 3-2 grazie a un rigore e ad un
autogoal –, il Milan, mutatis mutandis,
si ripete in casa contro il Bologna: segna 2 goal ma subisce il 2-2 dei
felsinei ridotti in 10, per poi vincere quando gli avversari, per una nuova
improbabile espulsione, sono ormai soltanto 9. Dopo i tanti rigori dell’anno
scorso che gli hanno consentito di raggiungere il secondo posto, il Milan con
queste due ultime vittorie appaia il Napoli al vertice della classifica. Certo,
con merito, per la capacità di correre molto e di verticalizzare, ma anche per
la benevolenza degli dei che controllano tutto, anche il gioco del calcio.
Peccato che in Champions League il Milan non goda della stessa protezione: tre
partite e tre sconfitte. Evidentemente, a guardare benevolmente i rossoneri
sono soltanto divinità nazionali.
sergio magaldi
.
domenica 24 ottobre 2021
venerdì 15 ottobre 2021
LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA' E DOGMATISMO (Parte nona)
SEGUE
DA:
LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E
DOGMATISMO (Parte prima)
LE
FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E
DOGMATISMO (Parte seconda)
LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E
DOGMATISMO (Parte terza)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte quarta)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte quinta)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’
E DOGMATISMO (Parte sesta)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’
E DOGMATISMO (Parte settima)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’
E DOGMATISMO (Parte ottava)
Dunque, il tema della retribuzione, così
altrimenti caro al pensiero sapienziale ebraico non preoccupa minimamente
l'autore o gli autori di Qoeleth. L'intento sembra essere piuttosto
quello di descrivere l'infelice condizione umana, prescindendo da Dio e dai
suoi imperscrutabili disegni. Il legame tra l'uomo e Dio, se proprio lo si
vuole rintracciare, si sostanzia unicamente nel concetto di prova alla
quale Dio chiama, chiamando alla vita. Ma, diversamente che nel libro di Giobbe,
dove il rapporto uomo-Dio, tra ragione e sragione, assurdo e paradosso, si
colora infine di senso, qui il mistero permane rigidamente sigillato e la
lontananza diviene assoluta. Tant'è che l'ultimo consiglio di Qoeleth sembra
ispirarsi al Carpe diem di Orazio e dei filosofi greci:
"Va'
dunque e mangia allegramente il tuo pane, e bevi con allegria il tuo vino (...) In ogni tempo siano candide le
tue vesti e non manchi l'unguento al tuo capo. Godi la vita con la moglie
diletta, per tutto il tempo della tua vita fugace, per quei giorni che ti sono
dati sotto il sole, per tutto il tempo della tua vanità; questa è la tua sorte
nella vita e nelle tue fatiche che ti affannano sotto il sole. Tutto quello che
puoi fare con i tuoi mezzi, fallo presto, perché né attività né pensiero, né
sapienza, né scienza hanno luogo nella regione dei morti dove tu corri."
(IX, 7 - 10).
E
non v'è dubbio che il pensiero sapienziale dei Greci aleggi qui e finanche la
concezione dell'aldilà rammenti in modo ancora più radicale quella descritta da
Omero nell'Odissea dove, almeno, le ombre dei morti hanno
rimpianti…
L'intreccio
tra pensiero sapienziale e pensiero religioso, inesistente quasi in Qoeleth,
problematico in Giobbe, si fa invece serrato in Sapienza e
in tutti gli altri trattati della letteratura sapienziale vetero-testamentaria.
Emerge, tuttavia, un'osservazione fondamentale. Per quanto nei Proverbi,
lo pseudo-Salomone affermi che la sapienza si fonda sul timore di Dio, i detti,
i consigli, le sentenze ricche di saggezza e di umana esperienza contenuti nel
libro sono norma a se stessi e il loro valore prescinde dal riferimento alla
trascendenza, perché si iscrivono innanzi tutto nel libro della vita e
prospettano, per chiunque voglia appropriarsene, un ideale di crescita, un
progressivo distacco dalle passioni e dai pregiudizi, una iniziazione dello
spirito nel crescente dominio di se stessi.
Le
massime morali contenute in Sapienza, nei Proverbi,
in Siracide o nei Salmi prima di essere norme
dettate dal timor di Dio, sono regole sapienziali e sono altresì testimonianza
di una tradizione, l'unica forse, giunta ininterrotta e vivente sino a noi.
Sono massime di rispetto o di pietà familiare come: "Lo stolto deride le
correzioni del padre, ma chi fa tesoro delle correzioni diventerà più
saggio"(Proverbi, XV,5),
"Figlio, assisti la vecchiaia di tuo padre e non lo contristare nella sua
vita; ed anche se diverrà debole di mente, compatiscilo, non lo disprezzare
nella tua vigoria..."(Siracide, III, 14-15). Sono ammonimenti
contro l'ira, nella tradizione ebraica la più funesta tra le passioni: "E'
onorevole per l'uomo stare lontano dalle contese, ma tutti gli stolti si
immischiano nei litigi"(Proverbi, XX,3) oppure: "Grave è la
pietra, pesante la sabbia, ma più pesante dell'una e dell'altra è l'ira dello
stolto"(XXVII,3). Sono regole di prudenza e di saggezza:"Come una
città aperta e senza mura è l'uomo che non sa frenare il suo spirito nel
parlare"(XXV, 28), "Quanto più sei grande, tanto più umiliati in
tutte le cose" (Siracide,III,2O), "Non cercare quello che è al
di sopra di te, e quello che è al di sopra delle tue forze non lo
indagare"(III,22) "Come acque profonde sono i disegni nel cuore
dell'uomo e solo all'uomo sapiente è dato trarli a galla"(Proverbi XX,
5-6)
S E G U E
sergio magaldi