mercoledì 15 luglio 2020

“ATTENTI A QUEI DUE” e il progressivo indebitamento italiano




Quando i creditori internazionali del nostro Paese d’accordo tra loro, richiederanno simultaneamente dai mercati la restituzione del credito pubblico italiano, dove reperirà il governo i capitali che non possiede?

di  Alberto Zei

Ancora nel caos decisionale sull’accettazione o meno, del contributo europeo di ripresa, ossia del MES. Le decisioni conclusive del sì o del no stanno attualmente dividendo gli ottimisti del “momento fuggente” dai profeti delle conseguenze negative di fronte all’inevitabile sindacato di controllo della Banca europea sulla destinazione di uso e sulla garanzia di restituzione del prestito.
Il reale pericolo di una recrudescenza del coronavirus non dovrà però,  sorprenderci in una condizione di inadempienza circa la restituzione dei crediti ricevuti. Né d’altra parte, sarebbe logico fasciarsi la testa prima di romperla. E allora il rimedio? “Ubi malum, ibi remedium” dicevano a Roma. Vediamo prima come stanno attualmente le cose.

C’era una volta
L’Italia fa continuamente fronte alle risorse finanziarie che non possiede, attingendo mediante apposite aste soprattutto dall’estero, il capitale per pagare gli interessi del debito pubblico. Dal momento però che le modalità della aggiudicazione d’asta sono castiganti per gli interessi a cui si è volontariamente sottoposta, il primo rimedio è quello di interrompere la spirale perversa del dispositivo che incrementa con questi stessi interessi, il debito complessivo.
C’era una volta un film  che si intitolava: “ Attenti a quei due “; titolo questo che a prescindere dalle idee politiche di ciascuno, richiama la disinvolta gestione dei due partiti attualmente al governo, troppo diversi per riuscire insieme ad operare in modo non contraddittorio.
Il danno che si profila all’orizzonte dell’Italia  non è di carattere ideologico ma di reale pesante natura finanziaria. Tenuto conto però, che lo Stato siamo tutti noi, il capitale di cui il governo intende disporre soprattutto per impieghi senza ritorno, riguarderà alla fine le disponibilità economiche degli italiani.

La sfida del governo
Il progressivo indebitamento pubblico verso l’estero che in specie in questo periodo viene accumulato dal governo quasi in senso di sfida verso chi la pensa  al contrario, senza farci soverchie  illusioni, dovrà essere restituito con i relativi interessi.
Dunque, messa da parte la pericolosa speranza di fare affidamento su elargizioni europee a fondo perduto, nella realtà dei fatti il Governo  continuerà  a ricorrere  a pericolosi prestiti internazionali che aumenteranno sempre più  anche  la mole degli interessi da corrispondere periodicamente.
In queste condizioni la faticosa economia di valuta che i cittadini italiani per loro indole di risparmiatori hanno affidato alle casse delle banche, rischia sempre più di essere impegnata e impiegata per situazioni che,  come la Grecia insegna, potrebbero all’improvviso esplodere a fronte di una simultanea richiesta di restituzione da parte dei creditori esteri.

Il tempo critico
Il problema della potenziale insolvenza si verificherà quando alcuni Stati  acquirenti presenteranno congiuntamente sul mercato i titoli italiani, facendo aumentare in modo critico il famigerato spread, così come è avvenuto allorquando Francia e Germania nel 2015, decisero di mettere in serissima crisi il governo italiano imponendogli di fatto, come poi avvenne, una diversa guida politica.
Si potrebbe continuare senza necessità di alcuna immaginazione ad elencare le possibili conseguenze per il nostro Paese se continuerà a indebitarsi ulteriormente per pagare i debiti esteri, vantando poi paradossalmente di aver saputo superare le resistenze dell’Europa, mentre il passivo nazionale sta avviandosi  allegramente  al superamento dei  2500  miliardi di euro.
Allo stato delle cose il debito pubblico è arrivato alle stelle e sempre più sarà difficile liberarsene se il sistema di indebitamento rimarrà il medesimo.
Ma qual è il sistema? Quello di ricorrere alle sovvenzioni internazionali attraverso un metodo aberrante.

Le aste internazionali
Entrando nel merito dell’indebitamento, vediamo come questo avviene.
Lo Stato non potendo onorare la restituzione ai creditori di quanto loro è  dovuto, chiede ulteriori prestiti agli istituti finanziari, soprattutto esteri mediante aste per pagare almeno gli utili finora maturati.
Si tratta di circa 65 miliardi di euro  di soli interessi che l’Italia corrisponde ogni anno ai creditori. Consideriamo però che quasi la metà di questa cifra è destinata all’estero. Vediamo ora come avviene la distribuzione dei titoli in asta che, come detto, vengono offerti soprattutto per onorare il versamento degli interessi alle varie scadenze.
Supponiamo di vendere una certa quantità di titoli per una quindicina di miliardi. Anziché offrire agli acquirenti la base degli interessi che saranno corrisposti, accade il contrario. Infatti, è l’Italia che chiede ai creditori di fissare loro questo valore per i vari lotti in cui viene suddivisa la cifra complessiva.
Supponiamo ora che il primo lotto di qualche miliardo di euro venga aggiudicato al tasso dell’1,5% e il secondo al 2,5% e così via fino all’ultimo acquistato al tasso del 4%.
L’Italia non paga a ognuno il suo, ma a tutti il valore di asta dell’ultimo che è anche il più alto, incrementando a vantaggio anche degli acquirenti già soddisfatti, il debito pubblico nazionale.

La doppia speculazione
Trattando la questione dal punto di vista teorico, per venirne fuori viene ipotizzato da più parti che la prima cosa da considerare sarebbe quella di impedire questa sorta di doppia  speculazione di  coloro che  si avvantaggiano ulteriormente per merito altrui.
La seconda sarebbe quella di rivolgersi agli stessi italiani che non amano investimenti rischiosi e che si fanno erodere dalle banche i propri risparmi a fronte di rendimenti inesistenti o addirittura negativi. Pertanto, in  linea  con questa tradizionale propensione al risparmio,  come avveniva nel passato con i CTT e soprattutto con i BOT, sarebbero gli stessi italiani  per il  mantenimento del valore dei risparmi a sottoscrivere anche per un interesse minimo quelle stesse offerte di decine di miliardi che come  detto prima, incrementano il baratro del nostro indebitamento, oltre alla potenzialità dirompente della simultanea richiesta  di restituzione da parte dei creditori internazionali.

Il valore critico
Almeno in quota parte,  i titoli  che comportano a favore dei creditori esteri   ogni anno 30 miliardi di euro di interessi e che sottraggono valuta dalle disponibilità del nostro Paese,  rimarrebbero in ambito nazionale.
Le ragioni per le quali chi potrebbe non interviene per bloccare questa politica dell’indebitamento ad oltranza, ognuno può immaginarle secondo i propri convincimenti.
Una cosa però è certa e che tutti noi dobbiamo convenire che quando l’indebitamento avrà raggiunto il valore critico, la contemporanea emissione sul mercato dei titoli acquistati dai nostri creditori internazionali metterà lo Stato in una posizione di insolvenza. In questo caso l’unica possibilità per il governo del momento che rimarrà con il cerino acceso in mano, sarà quello di attingere dai risparmi bancari  dei cittadini  ciò che serve, così come fece il governo Amato nell’81, oppure dichiarare il fallimento dello Stato con conseguenze ancora peggiori. Certo però che per quanto riguarda la  tutela dei risparmi degli italiani, talvolta di una intera vita,  la strada  così  mantenuta dal governo è proprio quella sbagliata.

domenica 12 luglio 2020

JUVE: il pareggio della volontà





 Nel tardo pomeriggio cade la Lazio all’Olimpico e con il pareggio di ieri notte, raggiunto negli ultimi minuti della partita contro l’Atalanta, la Juve vede più da vicino lo scudetto: 8 punti di vantaggio sulla Lazio, 9 (8+1) sull’Inter, solo se si dà per scontata la vittoria dei nerazzurri contro il Torino, 10 (9+1) sull’Atalanta, considerando come per l’Inter il vantaggio negli scontri diretti (a Bergamo la Juve aveva vinto per 3-1), dovrebbero bastare ai bianconeri per festeggiare a fine mese il nono scudetto consecutivo.

Il crollo contro il Milan sembra non aver lasciato tracce in casa bianconera. La Juve è stata a un passo dal perdere, ma sul punteggio di 1-1 ha rischiato addirittura di vincere se Ronaldo, solo davanti al portiere, non avesse sprecato una clamorosa occasione. Il fatto è che il grande campione lusitano pur avendo segnato sin qui 28 goal (secondo solo ad Immobile, capocannoniere con 29), non sembra ancora aver ritrovato la sua forma migliore. Non c’è dubbio, però, che proprio questo Ronaldo sia il vero trascinatore dei bianconeri verso lo scudetto.

Di sicuro, l’Atalanta avrebbe meritato di vincere, non tanto perché il pareggio della Juve è il frutto di due rigori (un gomito e un mani in area, come il rigore fischiato contro la Juve e dal quale era partita la rimonta del Milan), quanto per mole di gioco, freschezza fisica e superiorità tattica. A tratti, tuttavia, soprattutto nel secondo tempo, i bianconeri hanno tenuto bene il campo, ma nel complesso non si può negare la superiorità dei bergamaschi, in parte compensata dalla grande volontà messa in mostra dalla squadra di Sarri. Al quale, per la verità, questa volta non si può rimproverare nulla. I limiti della sopravvalutata rosa bianconera si sono visti quando l’Atalanta ha fatto i suoi cambi. Occorre invece sottolineare che Sarri dopo aver rivalutato Dybala ha saputo anche rilanciare Rabiot, convincente anche ieri notte dopo la bella prestazione di San Siro.

Naturalmente, nulla è definitivo. Mancano ancora sei partite al termine del Campionato e le difficoltà maggiori per la Juve sembrano proprio le prossime due: contro il Sassuolo che è alla sua quarta vittoria consecutiva, e contro la Lazio che nel corso dell’anno è stata la sua “bestia nera”. Se dovesse passare indenne anche questi due ostacoli, allora la Juve sarebbe lanciata davvero verso la conquista dello scudetto, anche se questo scorcio di campionato post coronavirus sembra un torneo a se stante e pieno di sorprese: giocare ogni tre giorni con questo caldo diventa micidiale se non si dispone di cambi affidabili e/o se si ha la tendenza ad insistere sempre con lo stesso schieramento.

sergio magaldi     

venerdì 10 luglio 2020

JUVENTUS: blackout inspiegabile…oppure?





 Che martedì notte la Juve sia andata in blackout è indubbio. A mezz’ora dal termine della partita col Milan i bianconeri vincevano con due goal di scarto e avevano praticamente messo le mani sul trentaseiesimo scudetto (ufficiale) della loro storia, il nono consecutivo: 10 punti di vantaggio sulla Lazio, 15 sull’Inter (14 +1 per aver vinto entrambe le sfide con i nerazzurri) e 15 sull’Atalanta, ancorché la squadre di Conte e quella di Gasperini avessero una partita in più da giocare. È tutta colpa di un rigore inesistente? Quando il generoso Var induce l’arbitro a punire con la massima punizione una palla finita sul gomito di Bonucci, dopo essere rimbalzata sul petto e sull’avambraccio di un giocatore del Milan che gli stava attaccato? 

Certo, il 2-1 ha dato nuove speranze ai rossoneri, ma prendere altri tre goal nello spazio di poco più di un quarto d’ora si spiega solo con un blackout. Non si tratta però di un blackout “inspiegabile” come ha detto Sarri, ma di un crollo spiegabilissimo, frutto di errori individuali e di tutto il collettivo: il pari nasce dal “salto”, uno dopo l’altro, dei quattro difensori, il 3-2 è una papera del portiere che prende goal sul proprio palo e il 4-2 è la conseguenza di un enorme errore di Alex Sandro che rinvia corto su un avversario appostato ai limiti dell’area juventina: un tocco appena per Rebic che da pochi metri  batte a rete, praticamente un calcio di rigore in movimento. Se tre delle reti della sconfitta hanno nome e cognome (l’arbitro, nonché portiere e terzino sinistro della Juve), assumendo le sembianze di errori individuali, è la squadra nel suo complesso, prima di tutto con il suo centrocampo, a crollare permettendo la rimonta del Milan. 

Del resto, anche le reti juventine erano nate da imprese individuali: Rabiot che percorre tutto il campo driblando gli avversari e batte a rete, Ronaldo che pescato da un lancio sulla trequarti rossonera, infila con la consueta maestria la porta di Donnarumma. Il fatto non è nuovo: la Juve va in goal per le giocate individuali dei suoi tanti campioni, non come conseguenza del suo gioco lento e manovrato, per lo più sterile. Sarebbe tuttavia sbagliato attribuire a Sarri la colpa di non essere riuscito a dare ai bianconeri il gioco scintillante che aveva saputo dare al Napoli. A Torino ha trovato una squadra già strutturata, da cinque anni educata al credo calcistico di Allegri, credo vincente ma per nulla spettacolare. In circa sette mesi (considerando la pausa del coronavirus), forse nessuno avrebbe potuto fare di più e se non altro egli è riuscito a spostare in avanti il baricentro della Juve e soprattutto a riconvertire Dybala in un vero attaccante, dopo che per anni l’asso argentino è stato sacrificato in un ruolo non suo. Restano alcuni errori: uno su tutti quello di pretendere da Cuadrato di portare la croce: costringendolo a correre in su e in giù per tutto il campo per difendere e contemporaneamente rilanciare la manovra offensiva. Forse perché, nonostante la cosiddetta ampia rosa, nel ruolo di esterno basso (a destra come a sinistra), la Juve non ha alternative affidabili. E resta l’errore di Martedì notte. Giunti a mezz’ora dal termine della settima partita (le due di Coppa Italia e le cinque di Campionato), tutte e sette giocate nello spazio di 20 giorni più o meno con gli stessi giocatori, stai vincendo per 2-0, hai quasi lo scudetto in tasca e non fai ancora i cambi necessari a far rifiatare la squadra e a dare nuovo slancio e freschezza per portare a termine la partita? In più, senza tener conto dei molti cambi degli avversari, con giovani forse ancora poco conosciuti ma veloci come il vento? I cambi ci saranno ma solo troppo tardi e anche sbagliati. Così, dopo le assenze per infortunio, il rientro affrettato in campo di Alex Sandro sancirà la sconfitta definitiva. Così, dovendo cercare il goal, tenere in campo Bernardeschi e fare uscire Higuain che, oltretutto, per rientrare in forma ha bisogno di giocare. Insomma, la Juve di martedì notte è crollata fisicamente, ancorché gli errori individuali ne abbiano causato la sconfitta. Altro che blackout inspiegabile! Adesso, molto del nono scudetto consecutivo della Juve dipende dalla sfida di domani sera contro l’Atalanta, sin qui sempre vincente dalla ripresa del Campionato. Non sarà facile.

sergio magaldi  

lunedì 6 luglio 2020

GRANDI CONGIUNZIONI PLANETARIE E CORONAVIRUS, parte X (Giove e Saturno)





SEGUE DA (clicca sui titoli per leggere):










I significati di Giove

 Il mito più noto di Zeus-Giove si collega allo scampato pericolo da parte del futuro “Signore degli uomini e degli dei” (secondo l’espressione usata da Omero) di finire divorato dal padre Krono-Saturno, come tutti i suoi fratelli, e allo stratagemma di sua madre, la titanide Rea che lo sottrae al marito, sostituendolo con una pietra. Portato a Creta e nascosto in una grotta, il piccolo Zeus trova la protezione di Adrastea, (dopo Rea, un altro simbolo della Grande Madre e del potere femminile) che lo pone in una cesta d’oro e lo fa allevare dalla capra Amaltea. Ancora adolescente, il dio arricchisce il simbolismo di cui è portatore: rompe per gioco un corno della capra e ne fa la Cornucopia o corno dell’abbondanza, colmo di cibi e bevande. Adulto, sacrifica Amaltea e dalla sua pelle ricava l’egida, lo scudo o l’armatura con cui proteggersi, mentre fa della capra-nutrice una stella e la pone nella costellazione dell’Auriga. Ormai forte e sicuro di sé Zeus, grazie all’effetto di una droga, costringe suo padre Saturno a rigettare i fratelli che aveva ingurgitato, quindi gli muove guerra, lo sconfigge, lo spodesta e lo fa prigioniero nel Tartaro, guardato a vista dal fratello Hades-Plutone, al quale ha concesso il regno sotterraneo, mentre a Poseidone-Nettuno, un altro dei fratelli liberati, ha assegnato il dominio dei mari.

Luciano di Samosata, prolifico autore  siriano di lingua greca, vissuto tra il 120 e il 200, nel dialogo di apertura dei Saturnalia, tra Kronosolone (sacerdote di Saturno e addetto alla legislazione della festa) e Saturno, punta sull’ironia per screditare il mito della presa del potere da parte di Giove. Lo stile ricorda i dialoghi di Platone e il contenuto riecheggia Aristofane, allorché attribuisce a Giove la stessa cecità nel distribuire le ricchezze che il grande commediografo greco rimprovera a Plutone [vedi il post GRANDI CONGIUNZIONI PLANETARIE E CORONAVIRUS, parte II (astrologia e mitologia) e clicca sopra per leggere]. Tra il serio e il faceto, Luciano di Samosata, quasi un laudator temporis acti, lancia un messaggio ai contemporanei: del clima di decadenza e di corruzione che stanno vivendo, il primo responsabile è Giove che non ha fatto del mondo un regno di pace e di giustizia, ma al contrario con la sua astuzia e i suoi intrighi ha contribuito a diffondere la malvagità tra gli esseri umani.

Dai Saturnalia di Luciano di Samosata:

«Il Sacerdote. O Saturno, che oggi sembri essere tu il Signore, ed a te si fanno sacrifici e preghiere, nei giorni della tua festa che cosa potrei domandare ed avere da te?
Saturno. Pensa a ciò che più desideri e dimmelo; se pure credi che io, in possesso di signoria e profezia, non conosca già ciò che più ti piace. Chiedimi, e se posso, non ti dirò di no.
Il Sacerdote. Ci ho pensato tanto! Ti dirò le cose che tutti desiderano e che a te è facile dare: ricchezze ed oro assai, comandare a molti uomini, possedere molti servi, vesti finemente ricamate, argento, avorio e altre cose preziose. Deh, dammene qualcuna di queste, o possente Saturno, affinché anch’io goda un po’ della tua signoria: io solo non dovrò mai avere un briciolo di bene per tutta la vita?
Saturno. Vedi? Mi domandi ciò che non è in mio potere, giacché non distribuisco io queste cose: però non ti crucciare se non le avrai: chiedile a Giove quando tra non molto egli tornerà il Signore di tutti. Io prendo questa signoria a certe condizioni, io! Non più che per sette giorni, dopo i quali ritorno subito privato cittadino. E in questi sette giorni io non debbo impicciarmi di faccende gravi o pubbliche, ma solo pensare a chi beve, si ubriaca, grida, scherza, gioca a dadi[…] questo mi è permesso di fare: quelle cose grandi, come le ricchezze e l’oro, le dà Giove a chi più gli piace.
Il Sacerdote. Ma Giove, o mio Saturno, non è né facile né alla mano. Io mi sono stancato di pregarlo, sprecando tanto fiato. Fa sempre il sordo, e squassando l’egida, brandendo la folgore e volgendo il cipiglio egli mette paura a chi vorrebbe chiedere. E se talvolta si piega a qualcuno e l’arricchisce, lo fa senza giudizio, e quasi a dispetto, perché spesso lascia secchi gli uomini dabbene e gli assennati, e piove ricchezze sui ribaldi, gli stolti, i crapuloni, la gente da forca e altra canaglia […] O il più buono dei Titani[…]chiariscimi una cosa che da tempo desidero sapere. Se me la dirai, mi avrai ben compensato dei sacrifici che faccio per te, e ti assolverò da ogni altro debito.
Saturno. Di’ pure: ti risponderò, se è cosa che conosco.
Il Sacerdote. Innanzi tutto, è vero ciò che dicono di te? Che divoravi i figli avuti da Rea, e che ella, dopo averti sottratto Giove e messa una pietra al suo posto, te la diede da mangiare, e che Giove cresciuto in età ti tolse il potere, ed avendoti vinto in battaglia, ti cacciò nel Tartaro, dove ti incatenò insieme a tutti quelli che erano dalla tua parte?
Saturno. Ehi tu! Se oggi non fosse festa, e lecito ubriacarsi e ingiuriare impunemente i padroni, sapresti che posso ancora non farmela passare la mosca sotto il naso! Farmi questa sorte di domande, senza aver rispetto per un dio così canuto e vecchio!
Il Sacerdote. Questo, o Saturno, non lo dico io, ma Esiodo ed Omero; e mi rincresce dirti che quasi tutti gli uomini lo tengono per vero.
Saturno. E credi tu che quel pecoraio chiacchierone sapesse il vero dei fatti miei? Pensaci un po’. Ci può esser mai un uomo (non dico un Dio) che voglia mangiarsi i figli, se pur non sia un Tieste, che li mangi per inganno dell’empio fratello? Ma sia pure: come non sentir sotto i denti che è pietra e non carne? Non c’è stata guerra! Mai Giove mi ha tolto il regno per forza, ma gliel’ho ceduto io volontariamente e mi sono ritirato. Quali catene, qual Tartaro? Io son qui e tu mi vedi, se non sei cieco come Omero.
Il Sacerdote. E per quale motivo, o Saturno, lasciasti il regno?
Saturno. Ti dirò. Innanzi tutto, essendo vecchio e sofferente di podagra (e questo muovermi a fatica ha fatto credere al volgo che io fossi incatenato), non riuscivo a contenere la grande malvagità che oggi c’è tra la gente: quel dover sempre correre su e giù, e brandire il fulmine, e sfolgorare gli spergiuri, i sacrileghi e i violenti, era una fatica grande e da persona giovane, per cui la lasciai volentieri a Giove. Inoltre, mi parve bene dividere il regno tra i miei figli, ed io godermela zitto e quieto, senza rischiare l’osso del collo per colpa di chi prega e spesso domanda cose contraddittorie. Senza essere costretto a mandare tuoni, lampi, e talora i rovesci di grandine. E così da vecchio meno una vita tranquilla, fo buona cera, bevo del nettare più schietto, e chiacchiero un po’ con Giapeto e con gli altri dell’età mia, e Giove si tiene il regno e i mille affanni. Nondimeno, ho voluto riservare questi pochi giorni, alle condizioni che t’ho dette, e ripiglio il regno per ricordare agli uomini la vita che menavano al tempo mio, quando senza seminare e senza arare,la terra produceva ogni bene, non vi erano spighe ma pane bello e fatto, e carni già cotte, e il vino scorreva a fiumi, e vi erano fontane di miele e di latte. Tutti erano buoni, tutti uomini d’oro. Questa è la ragione della breve durata del mio regno. È perciò che da ogni parte si levano schiamazzi, suoni e canti e si vede la gente giocare, e c’è parità di diritti per tutti, liberi e servi: al tempo mio, infatti, nessuno era schiavo!»

[S E G U E]

sergio magaldi