SEGUE DA:
NOTE SULLA QABBALAH: parte IV, l’uno e le porte della conoscenza (clicca sul titolo perleggere)
NOTE SULLA QABBALAH: parte V, l’uno e l’unificato (clicca sul titolo per leggere)
TEODICEA
E SHOAH
Nel quadro degli scellerati crimini che una parte
dell’umanità ha commesso e continua a commettere nei confronti di un’altra
parte di umanità, non c’è dubbio che il massacro nazista degli ebrei assuma una
sua peculiarità e unicità come tentativo di eliminare una volta per sempre
dalla faccia della terra il popolo eletto del Dio biblico, lo stesso Dio dei
cristiani e dei musulmani. Si aggiunga a questo che la “soluzione finale” della
questione ebraica è stata affrontata con una ferocia e un’organizzazione
propagandistica burocratica e industriale che non ha precedenti nella storia
del mondo. Certo, la Shoah
ha ben noti precedenti, dei quali ricorderò soltanto: i numerosi pogrom contro
gli ebrei, ritenuti responsabili persino di sciagure naturali, a cagione della
loro diversità spirituale, culturale e linguistica e, purtroppo e soprattutto,
l’accanimento del diritto canonico nel ghettizzare gli ebrei [già il Sinodo di
Elvira del 306 vieta i matrimoni e i contatti sessuali tra ebrei e cristiani],
come si evince dal grafico riportato nel volume Das Judentum di Hans Küng [pp. 268-9 trad.it., Saggi Bur, Milano,
1999]. Tutto ciò, ancorché Vaticano, Papa ed ecclesiastici cattolici e
cristiani abbiano contribuito a nascondere e a sottrarre alla barbarie
antisemita numerose famiglie di ebrei durante la seconda guerra mondiale.
In tale contesto,
sorprende ancora gli storici che il dibattito
teologico sulla Shoah sia iniziato con più di venti anni di ritardo
rispetto agli eventi accaduti a
Ausschwitz, Dachau, Bergen Belsen etc…; annichilimento e silenzio di
fronte ad una tragedia di tale portata? Può darsi, ma è più probabile che la
causa sia dovuta al timore di confrontarsi con quello che, non solo per gli
ebrei, ma per tutti i credenti è ritenuto uno degli argomenti fondamentali del
discorso teologico: la teodicea. Questo termine nasce con il Saggio sulla bontà di Dio, la libertà
dell’uomo e l’origine del male [1710] di Leibniz [1646-1716], rivelando
subito la sua natura più propriamente filosofica che teologica in quanto tale.
Non a caso, nel saggio, Leibniz rispondeva
alle considerazioni contenute nel Dizionario
[1697] di Bayle che a sua volta riprendeva l’antica polemica dei seguaci di
Epicuro contro gli Stoici: “Dio
o non vuol togliere i mali e non può, o può e non vuole, o non vuole né può o
vuole e può. Se vuole e non può, è impotente: il che non può essere in Dio. Se
può e non vuole è invidioso, il che del
pari è contrario a Dio. Se non vuole né può è invidioso e impotente perciò non
è Dio. Se vuole e può, il che solo conviene a Dio, da che cosa deriva l’esistenza
dei mali e perché non li toglie?” [Fr.,374, Usener]
[S
E G U E]
sergio magaldi
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