SEGUE DA:
ASTROLOGIA E ASTRONOMIA Parte I
ASTROLOGIA E ASTRONOMIA Parte II
ASTROLOGIA E ASTRONOMIA Parte III
ASTROLOGIA
E ASTRONOMIA Parte IV
ASTROLOGIA E ASTRONOMIA Parte V
ASTROLOGIA E ASTRONOMIA Parte VI
ASTROLOGIA E ASTRONOMIA Parte VII
ASTROLOGIA
E ASTRONOMIA Parte VIII
ASTROLOGIA
E ASTRONOMIA Parte IX
ASTROLOGIA
E ASTRONOMIA Parte X
ASTROLOGIA
E ASTRONOMIA Parte XI
ASTROLOGIA
E ASTRONOMIA Parte XII
ASTROLOGIA
E ASTRONOMIA Parte XIII
ASTROLOGIA E ASTRONOMIA
Parte XIV
Il contrasto Giove-Saturno non riguarda solo il rapporto
tra vita attiva e vita contemplativa, ma è un vero e proprio scontro
generazionale come si evince dal mito più noto di Zeus-Giove. Questo mito si
collega allo scampato pericolo da parte del futuro “Signore degli uomini e
degli dei” (Zeus-Giove, secondo l’espressione usata da Omero) di finire
divorato dal padre Krono-Saturno, come tutti i suoi fratelli, e allo
stratagemma di sua madre, la titanide Rea, che lo sottrae al marito,
sostituendolo con una pietra.
Portato a Creta e nascosto in una grotta, il piccolo Zeus trova la protezione di Adrastea, (dopo Rea, un altro simbolo della Grande Madre e del potere femminile) che lo pone in una cesta d’oro e lo fa allevare dalla capra Amaltea. Ancora adolescente, il dio arricchisce il simbolismo di cui è portatore: rompe per gioco un corno della capra e ne fa la Cornucopia o corno dell’abbondanza, colmo di cibi e bevande. Adulto, sacrifica Amaltea e dalla sua pelle ricava l’egida, lo scudo o l’armatura con cui proteggersi, mentre fa della capra-nutrice una stella e la pone nella costellazione dell’Auriga. Ormai forte e sicuro di sé Zeus, grazie all’effetto di una droga, costringe suo padre Saturno a rigettare i fratelli che aveva ingurgitato, quindi gli muove guerra, lo sconfigge, lo spodesta e lo fa prigioniero nel Tartaro, guardato a vista dal fratello Hades-Plutone, al quale ha concesso il regno sotterraneo, mentre a Poseidone-Nettuno, un altro dei fratelli liberati, ha assegnato il dominio dei mari.
Luciano di Samosata, prolifico autore siriano di lingua greca, vissuto tra il 120 e il 200, nel dialogo di apertura dei Saturnalia, tra Kronosolone (sacerdote di Saturno e addetto alla legislazione della festa) e Saturno, punta sull’ironia per screditare il mito della presa del potere da parte di Giove. Lo stile ricorda i dialoghi di Platone e il contenuto riecheggia Aristofane, allorché attribuisce a Giove la stessa cecità nel distribuire le ricchezze che il grande commediografo greco rimprovera a Plutone. Tra il serio e il faceto, Luciano di Samosata (120-192 d.C.),quasi un laudator temporis acti, lancia un messaggio ai contemporanei: del clima di decadenza e di corruzione che stanno vivendo, il primo responsabile è Giove che non ha fatto del mondo un regno di pace e di giustizia, ma al contrario con la sua astuzia e i suoi intrighi ha contribuito a diffondere la malvagità tra gli esseri umani.
Dai Saturnalia di
Luciano di Samosata:
«Il Sacerdote. O
Saturno, che oggi sembri essere tu il Signore, ed a te si fanno sacrifici e
preghiere, nei giorni della tua festa che cosa potrei domandare ed avere da te?
Saturno. Pensa a ciò che più desideri
e dimmelo; se pure credi che io, in possesso di signoria e profezia, non
conosca già ciò che più ti piace. Chiedimi, e se posso, non ti dirò di no.
Il Sacerdote. Ci ho pensato tanto! Ti dirò
le cose che tutti desiderano e che a te è facile dare: ricchezze ed oro assai,
comandare a molti uomini, possedere molti servi, vesti finemente ricamate,
argento, avorio e altre cose preziose. Deh, dammene qualcuna di queste, o
possente Saturno, affinché anch’io goda un po’ della tua signoria: io solo non
dovrò mai avere un briciolo di bene per tutta la vita?
Saturno. Vedi? Mi domandi ciò che non
è in mio potere, giacché non distribuisco io queste cose: però non ti crucciare
se non le avrai: chiedile a Giove quando tra non molto egli tornerà il Signore
di tutti. Io prendo questa signoria a certe condizioni, io! Non più che per
sette giorni, dopo i quali ritorno subito privato cittadino. E in questi sette
giorni io non debbo impicciarmi di faccende gravi o pubbliche, ma solo pensare
a chi beve, si ubriaca, grida, scherza, gioca a dadi[…] questo mi è permesso di
fare: quelle cose grandi, come le ricchezze e l’oro, le dà Giove a chi più gli
piace.
Il Sacerdote. Ma Giove, o mio Saturno, non
è né facile né alla mano. Io mi sono stancato di pregarlo, sprecando tanto
fiato. Fa sempre il sordo, e squassando l’egida, brandendo la folgore e
volgendo il cipiglio egli mette paura a chi vorrebbe chiedere. E se talvolta si
piega a qualcuno e l’arricchisce, lo fa senza giudizio, e quasi a dispetto,
perché spesso lascia secchi gli uomini dabbene e gli assennati, e piove
ricchezze sui ribaldi, gli stolti, i crapuloni, la gente da forca e altra
canaglia […] O il più buono dei Titani[…]chiariscimi una cosa che da tempo
desidero sapere. Se me la dirai, mi avrai ben compensato dei sacrifici che
faccio per te, e ti assolverò da ogni altro debito.
Saturno. Di’ pure: ti risponderò, se è cosa che conosco.
Il Sacerdote. Innanzi tutto, è vero ciò che
dicono di te? Che divoravi i figli avuti da Rea, e che ella, dopo averti
sottratto Giove e messa una pietra al suo posto, te la diede da mangiare, e che
Giove cresciuto in età ti tolse il potere, ed avendoti vinto in battaglia, ti cacciò
nel Tartaro, dove ti incatenò insieme a tutti quelli che erano dalla tua parte?
Saturno. Ehi tu! Se oggi non fosse
festa, e lecito ubriacarsi e ingiuriare impunemente i padroni, sapresti che
posso ancora non farmela passare la mosca sotto il naso! Farmi questa sorte di
domande, senza aver rispetto per un dio così canuto e vecchio!
Il Sacerdote. Questo, o Saturno, non lo
dico io, ma Esiodo ed Omero; e mi rincresce dirti che quasi tutti gli uomini lo
tengono per vero.
Saturno. E credi tu che quel pecoraio
chiacchierone sapesse il vero dei fatti miei? Pensaci un po’. Ci può esser mai
un uomo (non dico un Dio) che voglia mangiarsi i figli, se pur non sia un
Tieste, che li mangi per inganno dell’empio fratello? Ma sia pure: come non
sentir sotto i denti che è pietra e non carne? Non c’è stata guerra! Mai Giove
mi ha tolto il regno per forza, ma gliel’ho ceduto io volontariamente e mi sono
ritirato. Quali catene, qual Tartaro? Io son qui e tu mi vedi, se non sei cieco
come Omero.
Il Sacerdote. E per quale motivo, o
Saturno, lasciasti il regno?
Saturno. Ti dirò. Innanzi tutto,
essendo vecchio e sofferente di podagra (e questo muovermi a fatica ha fatto
credere al volgo che io fossi incatenato), non riuscivo a contenere la grande
malvagità che oggi c’è tra la gente: quel dover sempre correre su e giù, e
brandire il fulmine, e sfolgorare gli spergiuri, i sacrileghi e i violenti, era
una fatica grande e da persona giovane, per cui la lasciai volentieri a Giove.
Inoltre, mi parve bene dividere il regno tra i miei figli, ed io godermela
zitto e quieto, senza rischiare l’osso del collo per colpa di chi prega e
spesso domanda cose contraddittorie. Senza essere costretto a mandare tuoni,
lampi, e talora i rovesci di grandine. E così da vecchio meno una vita
tranquilla, fo buona cera, bevo del nettare più schietto, e chiacchiero un po’
con Giapeto e con gli altri dell’età mia, e Giove si tiene il regno e i mille
affanni. Nondimeno, ho voluto riservare questi pochi giorni, alle condizioni
che t’ho dette, e ripiglio il regno per ricordare agli uomini la vita che
menavano al tempo mio, quando senza seminare e senza arare,la terra produceva
ogni bene, non vi erano spighe ma pane bello e fatto, e carni già cotte, e il
vino scorreva a fiumi, e vi erano fontane di miele e di latte. Tutti erano
buoni, tutti uomini d’oro. Questa è la ragione della breve durata del mio
regno. È perciò che da ogni parte si levano schiamazzi, suoni e canti e si vede
la gente giocare, e c’è parità di diritti per tutti, liberi e servi: al tempo
mio, infatti, nessuno era schiavo!»
La satira che caratterizza la figura
di Giove nei “Saturnali” di Luciano di Samosata manifesta in realtà la mutata
concezione del politeismo greco: un dio, un dio soltanto è detto ora “padre
degli uomini e degli dei”, prefigurando in nuce l’avvento del
monoteismo. Tant’è che Luciano di Samosata fa dire a un suo personaggio che il
dio non ha fatto del mondo un regno di pace e di giustizia, ma che, al
contrario, con la sua astuzia e la sua prepotenza ha contribuito a diffondere la
malvagità tra gli esseri umani. Dunque, Zeus-Giove è agli occhi dello scrittore
l’unico e il solo responsabile di quanto accade nella realtà.
Diversamente il monoteismo risolverà il problema che d’après Leibniz
si dirà della teodicea: la presenza del male nel mondo non è imputabile alla
giustizia divina ma al diavolo e al comportamento umano, oppure è soltanto un
bene differito perché “Le strade del Signore sono infinite”.
S E G U E
sergio
magaldi
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