lunedì 30 dicembre 2024
giovedì 19 dicembre 2024
Sergio Magaldi, INTERVISTA SULLA
QABBALAH. 32 domande sulla mistica ebraica, MR edizioni, dicembre 2024, pp.246
Introduzione
L’idea di
scrivere qualcosa di immediatamente didascalico sui contenuti della mistica
ebraica mi lasciava perplesso. Forse ricordando la lettera che Isacco il Cieco
in pieno Medioevo aveva inviato ai rabbini di Girona, lamentando la
responsabilità dei propri scolari nel divulgare «nelle strade e nei mercati»
argomenti di studio e di meditazione che avrebbero dovuto mantenere il
naturale riserbo per non essere «profanati».
A distanza
di tanti secoli, riflettevo sul fatto che, proprio ciò su cui si rivendica
segretezza e silenzio, diventa spesso l’oggetto di cui si finisce col parlare
di più. È il caso della Qabbalah e della sua diffusione soprattutto negli
ultimi decenni del secolo scorso. Questa fortuna sembra mantenersi intatta, se
non addirittura accrescersi, anche nel XXI Secolo, ma in realtà cosa si
diffonde e si accresce?
Nella vita
di relazione gli esseri umani si scambiano di continuo idee, informazioni e
affermazioni spesso fondate sul “si dice” (oggi lo si chiama “passaparola”). A
questa realtà non sfugge la Qabbalah, neppure quando –come ormai d’uso comune
– la si riduce genericamente a “mistica ebraica” (moda alla quale neppure noi
ci siamo sottratti); dovendo opportunamente ricordare che la dimensione mistica
appartiene più che altro all’apologetica giudaica, al Talmud e, per molti
versi, al Chassidismo; laddove misticismo e messianismo sono solo aspetti minoritari
della tradizione ebraico-cabbalistica, ancorché tra i loro rappresentanti siano
annoverati, rispettivamente, personaggi come Abulafia e Sabbatai Zevi.
Da questo
punto di vista, si può comprendere la preoccupazione di Isacco che la Qabbalah
non divenisse oggetto di chiacchiera e di curiosità1. Dovendo cercare le fondamenta
del sapere nella tradizione e, più che altro, nell’intelligenza di ciò che si
riceve dal passato, Isacco ritenne che questa particolare forma di conoscenza
avesse bisogno di silenzio, studio, ricerca e meditazione. Del resto, il
pensiero sapienziale – e la Qabbalah non fa eccezione al riguardo – si colloca
in una prospettiva che lo porta a confrontarsi costantemente con il pensiero
religioso da un lato e con il pensiero scientifico dall’altro. Del primo
accoglie la dimensione del divino, del secondo condivide l’infinita lontananza
che c’è tra l’uomo e Dio, nonché il punto di vista sulla ricerca e sul metodo;
senza che questo significhi tralasciare quanto in precedenza acquisito e che
costituisce il patrimonio sapienziale dell’umanità.
Questo
libro non è e non vuole essere un saggio tra i tanti che sulla Qabbalah si
trovano in rete e nelle librerie. La sua pretesa è più modesta ma anche più
puntuale. Si rivolge innanzi tutto a chi, pur sapendo poco o nulla
sull’argomento, manifesti un sincero interesse di apprendere. A cominciare
dalle lettere dell’alfabeto ebraico, dalla loro grafia, dal loro valore
numerico. Chi, per contro, abbia già “dissodato il terreno” può trovare, in
questa lunga “chiacchierata” con la preziosa collaborazione di Massimo (si
spera non nel senso che Heidegger dà alla chiacchiera), qualche utile elemento
di riflessione e la possibilità di misurarsi con l’Albero della vita, nel
tentativo ambizioso ma benefico di iniziarne l’ascesa. Sempre in umiltà, e
ricordando la lezione di Kafka quando parla di quel tale che si stupiva della
facilità con cui riusciva ad avanzare lungo il cammino iniziatico, senza
accorgersi che quella strada in realtà la stava percorrendo all’inverso.
Sergio Magaldi
(1) Chiacchiera e curiosità sono per Martin Heidegger le “categorie”
della quotidianità. «La totale infondatezza della chiacchiera – annota il
filosofo tedesco (Essere e Tempo, Utet, Torino, 1969, prg. 35, p.271) –
non è un impedimento per la sua diffusione pubblica ma un fattore determinante.
La chiacchiera è la possibilità di comprendere tutto senza alcuna
appropriazione preliminare della cosa da comprendere». Non diversamente, egli
osserva (prg. 36, p. 275) a proposito della curiosità: «La curiosità, ormai
predominante, non si prende cura di vedere […] La curiosità è perciò
caratterizzata da una tipica incapacità di soffermarsi su ciò che si presenta
[…] rifugge dalla contemplazione serena, dominata com’è dall’irrequietezza e
dall’eccitazione che la spingono verso la novità e il cambiamento […]. La
curiosità non ha nulla a che fare con la considerazione dell’ente piena di
meraviglia, col "Thaumazein"; non le interessa lo stupore di fronte a ciò che non si
comprende, perché essa cerca, sì, di sapere, ma unicamente per poter aver
saputo».
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sabato 14 dicembre 2024
Sergio Magaldi, Intervista sulla Qabbalah, MR editori, dicembre 2024
mercoledì 11 dicembre 2024
Sergio Magaldi - Intervista sulla Qabbalah - Carpeoro Racconta
lunedì 9 dicembre 2024
Replica / Viaggio nella Qabbalah - Il Tetragramma e la Madre dei Mondi (...
lunedì 25 novembre 2024
Replica / Viaggio nella Qabbalah – La Conoscenza Unificata (p.5ª)
domenica 10 novembre 2024
REPLICA / Viaggio nella Qabbalah - Il problema del male (p.4ª)
L’ascesa virtuale lungo l’Albero della vita ci conduce ora
alla Sephirah Ghevourah che rappresenta il rigore, il giudizio, la severità, ma
anche la forza e la potenza come attestano alcune ghematrie della parola con
valore 216. Naturalmente, Ghevourah va considerata sull’Albero non isolatamente
ma in relazione alla Sephirah che apparentemente le si oppone: Chesed che manifesta
la grazia e la misericordia divina.
Ghevourah è comunque ritenuta il punto di frattura delle
scintille di luce provenienti dall’alto e quindi l’origine stessa della
presenza nel mondo del male fisico, metafisico e morale.
In realtà le interpretazioni sull’origine del male sono di
diversa natura, tanto in rapporto alla Bibbia che alla tradizione cabbalistica.
I primi versetti di Genesi parlano di
una sostanziale preesistenza delle tenebre e dunque del male inteso come
“mancanza di luce” e di una terra come di un abisso sul quale interviene lo
spirito di Elohim. La Bibbia poi contraddice questa interpretazione laddove si
ripete costantemente che al Signore appartiene sia il bene che il male e che,
d’altra parte, quest’ultimo dipende dal comportamento umano, a cominciare dal
“peccato” di Adamo ed Eva.
Nella Qabbalah, l’insorgere del male viene fatto risalire
non solo alla “fretta” con cui Adamo ed Eva vollero cibarsi del frutto
dell’Albero della conoscenza (Da‘at, che non è una Sephirah perché
non fa parte del progetto divino), ma anche alla “Rottura dei vasi” – prima di
tutti il recipiente o vaso di Ghevourah – causata dallo Tzimtzum, cioè dal ritrarsi del Signore da un punto della Totalità,
lasciando libera una luce troppo forte per essere assorbita dalle cosiddette
Sephiroth emotive.
Dunque, il male, originato dalla caduta delle scintille di
luce tra le scorze dell’Albero della vita o Qliphoth,
non dipende più dal cosiddetto peccato originale, né da una scelta divina
deliberata, bensì dall’esserci stesso di un universo separato dalla totalità
dell’Essere. Si ripropone così il vecchio discorso della teodicea circa
l’onnipotenza divina.
lunedì 28 ottobre 2024
Replica / Viaggio nella Qabbalah - I frutti dell'Albero della vita (p.3ª)
venerdì 11 ottobre 2024
Nations League: il Belgio pareggia con Pellegrini e Di Lorenzo
Mancano poco più di cinque minuti alla fine
del primo tempo e l’Italia del pallone va a gonfie vele contro il Belgio: Cambiaso
e Retegui, i due marcatori, che, insieme a Di Marco, saranno anche i migliori
in campo per l’Italia, hanno rifilato già due goal alla squadra che ci precede
di quattro posti nel Ranking Fifa (loro sesti, noi decimi) e si ha
l’impressione che presto arriverà anche il terzo goal. Gli azzurri corrono a
tutto campo e si scambiano la palla ad una velocità forse mai vista prima,
Ricci fa il regista con una maestria da veterano e tutti gli uomini del
centrocampo si muovono con disinvoltura avanti e indietro.
Poi
avviene l’impensabile: Bastoni (oggi non al suo livello standard) rinvia corto
e Pellegrini stende con un piede a martello Theate per evitare che s’impossessi
pericolosamente della palla. Cartellino rosso e l’Italia rimane in 10. Da quel
momento gli azzurri perdono la testa e, come scioccati dall’idea di dover
giocare il resto della partita in inferiorità numerica, prendono già goal su
punizione conseguente al grave fallo di Pellegrini. Non si spiega altrimenti
l’improvviso crollo di rendimento della nazionale italiana, passata dal dominio
degli avversari a doverne subire l’iniziativa rischiando addirittura la
sconfitta.
Nella ripresa, così come negli ultimi minuti
del primo tempo, la partita si trasforma in un costante attacco del Belgio
contro la difesa bassa dell’Italia e, così, dopo un calcio d’angolo, da un tocco
di testa di Di Lorenzo all’indietro – un vero e proprio assist a Trossard a
qualche passo dalla rete di Donnarumma – arriva la rete del pareggio belga.
Come la sua squadra, anche Spalletti rimane
scioccato dal fatto di dover giocare con un uomo in meno e invece di dare animo
ai suoi, mutando il 3-5-2 iniziale, in un 4-3-2 e sostituendo Di Lorenzo con
Raspadori o Maldini in appoggio a Retegui, lascia tutto inalterato dando così
alla squadra il messaggio di doversi difendere ad oltranza dalle folate dei belgi.
Pure, il caso della Juve di Lipsia
avrebbe dovuto far riflettere il nostro commissario tecnico. Tanto più che
il suo pupillo “napoletano” ha “ballato” per tutta la partita, salvato più di
una volta da Cambiaso prima e da Frattesi poi, di suo inanellando la solita
serie di dribbling persi o di palle gettate in calcio d’angolo, anche quando
non ce n’era necessità. A questo riguardo, sarebbe importante che il
selezionatore azzurro rivedesse tutte le partite giocate di recente con la
nazionale dal “suo” Di Lorenzo. Forse non servirebbe a nulla, visto quanto
dichiarato in passato da Spalletti e che si sostanzia nel proposito di dare la
maglia azzurra prima a Di Lorenzo, poi a tutti gli altri. D’altra parte, Il Corriere dello Sport sembra d’accordo
con il tecnico di Certaldo dando a Di Lorenzo addirittura un
Neppure felice l’idea di dare la maglia n.10 a
Pellegrini, non tanto perché questa fu la maglia di Rivera e di Baggio, di Del
Piero e di Totti, quanto perché il romanista non sembra attraversare un buon
periodo di forma, come testimoniano purtroppo anche i tanti fischi con cui, di
questi tempi, il suo stesso pubblico lo accoglie allo stadio Olimpico di Roma.
Ancora un’osservazione: si minimizza da parte
della critica sportiva, soprattutto italiana, l’importanza della Nations League,
ma occorre ricordare che vale per il Ranking e per la designazione delle teste
di serie delle massime competizioni internazionali, e che le finaliste del
torneo hanno la chance, qualora
fallissero nei rispettivi gironi di qualificazione, di poter essere ripescate per
i prossimi mondiali, ai quali l’Italia non prende parte ormai da più di una
edizione. C’è inoltre da considerare l’albo d’oro di questo torneo: nel 2019
vinse il Portogallo, nel 2021 la Francia
e la Spagna nel 2023.
sergio
magaldi
martedì 8 ottobre 2024
REPLICA / Viaggio nella Qabbalah – L'ascesa lungo l'Albero della Vita
mercoledì 25 settembre 2024
LA RAGNATELA DI THIAGO MOTTA
Alla 5.a di Campionato, prima vittoria di
Bologna, Fiorentina e Roma (oltre a Venezia e Como), appaiate ora in classifica
a sei punti. Il Milan vince il derby raggiungendo a otto punti un Inter che
sembra avere ancora la testa a Manchester. L’Atalanta, reduce di Champions,
perde la testa in casa contro il Como. La Lazio è fermata da arbitro e Var con
due rigori contro abbastanza discutibili, soprattutto il secondo, mentre un
rigore a favore le viene commutato in una punizione dal limite, con la
motivazione che il fallo ai suoi danni inizia fuori dell’area di rigore, senza
tener conto che poi si concretizza al suo interno.
Degna
di nota la vittoria dei giallorossi (3-0 contro l’Udinese prima in classifica),
trascinati da Ivan Jurić, nuovo allenatore capitolino, in uno stadio in cui la
curva è rimasta deserta per la prima mezz’ora di partita, come forma di
protesta contro l’esonero di Daniele De Rossi. Si è detto da più parti che il
licenziamento del campione ed ex giocatore della Roma è ingiusto e
incomprensibile, dopo appena quattro partite e con un contratto triennale da 3
milioni a stagione. Comprensibile il dispiacere dei tifosi, ma occorre
ricordare che la squadra allenata da De Rossi nelle ultime 9 partite (le ultime
5 del campionato scorso, le prime 4 di quello in corso) conta una sola vittoria
(19 maggio 2024:1-
L’altra
grande partita di cartello (oltre al derby milanese) della 5.a di Campionato è
stata Juventus-Napoli, terminata 0-0, che è anche il terzo pareggio consecutivo
dei bianconeri a reti bianche, dopo quelli con la Roma in casa e l’Empoli
fuori, con l’unica consolazione di non avere ancora preso goal nelle prime cinque
giornate di Serie A. I tre pareggi consecutivi non sorprendono più di tanto:
non solo sono in linea con il percorso compiuto l’anno passato dal Bologna di
Thiago Motta, ma si iscrivono senza soluzione di continuità nell’ultimo anno
della Juve di Allegri. Infatti, se guardiamo la classifica finale del
Campionato 2023/2024, ci si accorge che i numeri di Bologna e Juventus sono
abbastanza simili, se si escludono i 3 punti in più che sono valsi ai
bianconeri il terzo posto in classifica rispetto al quinto dei felsinei. La
Juve chiude con 19 vittorie 14 pareggi e 5 sconfitte, il Bologna con 18
vittorie, 14 pareggi e 6 sconfitte. Da notare che tra le prime otto squadre
della classifica con accesso alle coppe europee, Bologna e Juve hanno il
primato con lo stesso numero di pareggi (14), mentre Fiorentina, Milan e Roma
ne hanno 9, Inter e Lazio 7, Atalanta 6. C’è di più se si guarda ai goal fatti
e subiti: Juve 54 fatti e 31 subiti, Bologna 54 fatti e 32 subiti!
Da
questa analisi sembra evidente, non tanto che la Juve fatichi a “liberarsi”
dagli schemi di Allegri, quanto che Thiago Motta e Allegri abbiano una
organizzazione di gioco abbastanza simile.
L’anno
scorso, vedendo giocare il Bologna, ebbi subito l’impressione che il suo
splendido ruolino di marcia in campionato, nonostante una rosa non eccelsa, dipendesse
da una sorta di ragnatela con cui
riusciva a imbrigliare il gioco degli avversari. La stessa ragnatela che Thiago
Motta sta proponendo quest’anno alla Juve e che, quando i bianconeri sono nella
propria area, molto ricorda la difesa bassa e ad oltranza di Allegri. Appena
però il baricentro della Juve si sposta in avanti, allora si ha l’impressione
di un’altra squadra rispetto a quella del passato, proprio perché la ragnatela
si estende ora a tutto il campo imbrigliando gli avversari. Il vantaggio per
chi sa gettare questa rete ha però delle controindicazioni: la corsa è
rallentata, la verticalizzazione sminuita, con scarsa propensione a tirare
nella porta avversaria e a cercare profondità e punta centrale. In questa situazione,
il rischio è di finire prigionieri della propria ragnatela, a meno di non
trovare un’improvvisa via di uscita, con un colpo da campione, come Yildiz
nella prima partita di Champions League.
In
conclusione, se Thiago Motta riuscirà a liberarsi della propria ragnatela negli
ultimi venti metri di campo, la Juve potrà lottare per lo scudetto, altrimenti
dovrà accontentarsi al massimo di ripetere l’ultimo piazzamento
di Allegri.
Sergio
Magaldi
martedì 9 luglio 2024
Le Linee del Drago
domenica 30 giugno 2024
GLI AZZURRI AGLI EUROPEI E IL SENSO DEL RIDICOLO
Ieri, alla vigilia di Svizzera-Italia, avevo
parlato di mancanza di senso della realtà da parte di chi, vista l’apparente
facilità del Tabellone in cui era finita Italia, vagheggiava già l’approdo in
finale. Oggi parlo piuttosto di senso del ridicolo dei protagonisti fuori e
dentro il campo.
Per
la verità, nei primi venti minuti dell’incontro, qualcosa sembrava cambiato
rispetto alle precedenti esibizioni degli azzurri, ma forse era solo il timore
reverenziale degli avversari di fronte ai campioni d’Europa in carica. Quando
gli elvetici si sono resi conto di che pasta era fatta la nostra nazionale
hanno preso in mano il pallino della partita (si fa per dire) senza più
mollarlo: Di Lorenzo letteralmente saltato ha dato il via al primo goal degli
svizzeri, quando subito dopo è partito un tiro intercettato a rete da uno
stordito ancorché incolpevole Mancini; buchi al centro della difesa e ampio spazio
lasciato libero all’altro marcatore svizzero per segnare da lontano appena
all’inizio del secondo tempo, proprio quando si sperava in una reazione degli
azzurri dopo la delusione dell’ultima mezzora del primo tempo. Una squadra
quella italiana che camminava e non indovinava due passaggi di fila e che nelle
rare occasioni in cui ha tirato in porta, lo ha fatto per così dire con delle
incredibili mezze “ciabattate”; giocatori che allargavano le braccia non
sapendo cosa fare con la palla, nessuna carica agonistica tanto da far pensare
ai maligni che c’era tra i nostri un solo desiderio: andare in vacanza al più
presto! Su questo non sono d’accordo, perché il peggio si era già visto contro
la Spagna e nessuno può ragionevolmente pensare che gli azzurri pensassero al
ritorno a casa già alla seconda partita degli Europei! Parlerei dunque più di
senso del ridicolo che di senso della vergogna. Ma è tutta colpa dei giocatori
(escludendo il solo Donnarumma)?
Non
direi, perché è vero che Spalletti ha cambiato qualcosa in questa partita
decisiva, ma sembra averlo fatto a caso e senza avere in mente
un’organizzazione di gioco appena plausibile. Testardo come sempre nel
riproporre “suo figlio” Di Lorenzo che ha puntualmente confermato il rendimento
delle tre precedenti prestazioni e quelle di tutto l’anno nel Napoli; dietro ha
giocato a quattro, con un incerto Darmian terzino a sinistra (?!), un Mancini
apparso spossato già nelle ultime di Campionato al posto di Calafiori (non
Gatti come sarebbe stato auspicabile) e con Bastoni che alla vigilia aveva
avuto la febbre. A centrocampo l’unica vera novità è stata aver lasciato (finalmente?)
fuori Jorginho ma non poteva bastare, nonostante l’impegno mostrato da Fagioli,
vista la lentezza di Cristante, l’eccessivo individualismo di Barella, dolente
anche per un infortunio subito nella prima parte della gara, e lo scarso
rendimento complessivo della difesa. Il capolavoro Spalletti l’ha poi perfezionato
in attacco rinunciando a Zaccagni e schierando per la prima volta Al Shaarawy (peraltro,
si è saputo dopo, poco in condizione) però non in sostituzione di Chiesa a sinistra, magari nel secondo tempo,
quando il bianconero fosse stato stanco come spesso gli accade, ma sin
dall’inizio.
Perché
cambiare ancora modulo? Perché le idee sono state così poche e confuse? Perché
non giocare a tre dietro come nella precedente partita contro la Croazia, mettendo
finalmente da parte “suo figlio” e con due esterni veri come Bellanova e Di
Marco o Cambiaso? Perché far fuori Zaccagni che pure Spalletti aveva
abbracciato e baciato dopo il goal salvezza contro i croati? Perché insistere
per la quarta volta con Chiesa a destra? Interrogativi che resteranno senza
risposta, ma che lasciano l’amaro in bocca e più di una inquietudine in vista
delle prossime qualificazioni ai mondiali, dove sarebbe clamorosa la terza esclusione
di fila degli azzurri.
Inutile
ripetere i discorsi di sempre, forse però vale la pena di ricordarne le
tematiche ancora una volta: pochi anzi pochissimi i giocatori italiani
impiegati nel Campionato di serie A e persino di B, scarso o nullo in particolare
lo spazio lasciato ai giovani, nessuna politica per integrare nel calcio le
minoranze etniche, africane e non, ciò che pure è avvenuto per l’atletica dove
non è necessario, come nel calcio, frequentare costose scuole per farsi notare.
sergio
magaldi
venerdì 28 giugno 2024
Europei di calcio 2024: gli azzurri e il senso della realtà
Dopo la qualificazione agli ottavi grazie al
goal segnato al settimo di otto minuti di recupero nella partita contro la
Croazia, l’ottimismo è diventato contagioso, soprattutto tra gli addetti ai
lavori della Rai (con l’eccezione di Tony Damascelli, giornalista di rango, e
tuttavia anche lui meno pessimista del solito), nel ritenere possibile che
l’Italia disputi addirittura la finale. Si fanno calcoli guardando il Tabellone
nel quale gli azzurri sono finiti dalla parte considerata più facile dal
momento che – si dice – comprende sette
squadre che sono alla nostra portata: Svizzera (che incontreremo subito),
Inghilterra (probabilmente nei quarti di finale), Austria (forse in
semifinale), Turchia, Slovacchia, Olanda e Romania, mentre dall’altro lato del
Tabellone se la vedranno Spagna, Georgia, Belgio, Francia, Portogallo, Slovenia,
Germania e Danimarca.
Una
lettura questa, forse in altri tempi possibile, non oggi dopo aver visto la
squadra azzurra all’opera, prima contro l’Albania dove subisce un goal dopo 24
secondi e con un pareggio evitato all’ultimo minuto, poi contro la Spagna
perdendo senza nemmeno giocare, infine con la Croazia in una partita mal
giocata e fortunosamente recuperata all’ultimo minuto con il pareggio di
Zaccardi su assist di Calafiori, celebrato come un grande campione, lui che
pure aveva rischiato l’autogol del pareggio contro l’Albania, sventato da una
prodezza di Donnarumma, e che l’autogol della sconfitta l’ha fatto nella
partita successiva contro la Spagna.
L’unico
rammarico sembra proprio la squalifica di Calafiori – un calciatore che, per il
gioco complessivamente espresso e per l’assist che ha evitato di buttarci fuori
dagli Europei già prima degli ottavi, considero anch’io una risorsa per la
nazionale del futuro – mentre sale forte l’interrogativo su chi sia in grado di
sostituirlo: Mancini o Buongiorno? Nessuno pensa a Gatti che pure è quello che
per caratteristiche: carica agonistica, velocità, attacco all’area avversaria
(e paradossalmente persino per goal e autogol!), più somiglia all’azzurro
squalificato anche se di lui è meno elegante. Eppure di un giocatore così c’è
bisogno in campo dove tutti o quasi tutti viaggiano a velocità ridotta e con
scarso vigore. Spalletti, però, Gatti non lo vede neppure, tant’è che l’ha
portato in Germania solo all’ultimo minuto in sostituzione dell’infortunato
Acerbi.
Purtroppo
altre cose non vede il nostro commissario tecnico e di sicuro negli ottavi
contro la Svizzera schiererà ancora, dopo tre partite inguardabili, “suo
figlio” Di Lorenzo, ignorando Bellanova utile soprattutto come esterno se
dietro, come sembrerebbe più logico, si dovesse giocare a tre. Per inciso,
stento a credere che la nuova Juve scambierebbe Chiesa (27 anni a ottobre) con
un difensore che il 4 agosto avrà 31 anni e che ha alle spalle un campionato di
serie A a dir poco sconcertante! Fortuna, pare, che Conte lo consideri
incedibile. Ecco, ci lavori lui per farlo tornare quello dello scudetto!
A
centrocampo Spalletti riproporrà Jorginho, il “suo regista” in campo, che poco
ha giocato quest’anno nell’Arsenal e che purtroppo appare sempre più lento. Si
guarderà bene dall’utilizzare Fagioli prima degli ultimi minuti, visto che lo
considera il vice di Jorginho, laddove secondo me l’alternativa all’italo
brasiliano è Cristante, neanche lui velocissimo ma almeno dotato di potenza
fisica e talora pericoloso per l’area avversaria. Né farà giocare di sicuro
Folorunsho l’altro centrocampista veloce che vedrei bene in coppia con Fagioli
per dare maggiore dinamismo. E neppure farà scendere in campo El Shaarawy,
l’unico degli attaccanti sin qui mai utilizzato, che è un’ottima alternativa a Chiesa
(se il bianconero giocasse nel suo ruolo naturale!) nell’ultima mezzora di
partita quando lo juventino è ormai stanco. E molto probabilmente all’inizio
vedremo di nuovo Pellegrini e non Zaccagni. Insomma la solita nazionale senza
capo né coda con giocatori fuori ruolo e che tanto ha ben meritato nelle tre
partite sin qui disputate!
Tutto
ciò premesso, spero invece che Spalletti consideri tutte le alternative
possibili per il riscatto di questa nazionale, perché senza qualche improvvisa
illuminazione del nostro tecnico, il ritorno a casa degli azzurri si può dare
per scontato già da domenica.
Forse
è persino superfluo aggiungere che l’augurio è quello di sbagliarmi!
sergio
magaldi
lunedì 24 giugno 2024
ITALIA FLOP AGLI EUROPEI DI CALCIO
Sperando che il flop non sia definitivo, dopo l’incredibile partita contro la Spagna in cui raramente siamo usciti dalla nostra metà campo, abbiamo conquistato un corner a pochi minuti dalla fine e fatto un solo tiro sbilenco fuori della porta degli iberici. Eppure, ci sono tutte le premesse perché questa sera le cose non migliorino contro la Croazia:
1)
Non abbiamo
mai battuto questa nazionale: 8 partite con 3 sconfitte e 5 pareggi.
2) L’insistenza
nello schierare Di Lorenzo, sistematicamente
scavalcato in campo da Williams, semisconosciuto ai più e tuttavia apparso come
un gigante, e che Spalletti farà giocare terzino destro anche contro i croati,
dichiarando che per lui è “un figlio”, con ciò facendo pensare che lo ritenga intoccabile
in questa formazione!
3) Tenere fuori
Fagioli e Folorunsho, gli unici della rosa di centrocampo portata in
Germania, che sembrano capaci di correre e di verticalizzare.
4) Schierare
sempre a centrocampo giocatori lenti come Cristante e Jorginho e magari
Pellegrini, più lento di tutti e due e considerato dal selezionatore azzurro un
centrocampista.
5) Insistere con
Calafiori centrale difensivo, il quale avrà pure giocato meno peggio di altri
come si sente ripetere ma che, forse anche per inesperienza, stava per farci
pareggiare al
È vero d’altra parte che per andare agli ottavi all’Italia basta un pareggio ma è altrettanto vero che ai croati serve una vittoria. Si spera che Spalletti riveda almeno la posizione di Chiesa in campo, schierandolo finalmente a sinistra e che porti qualche altra correzione ai suoi tanti errori che per la verità iniziano già dalla scelta dei 26 da portare in Germania, non tenendo conto del rendimento tenuto in campo da alcuni giocatori durante tutto l’anno. Tanto per fare solo un esempio, dei suoi dello scudetto ha portato Di Lorenzo e Raspadori e tenuto fuori Politano!
In caso di sconfitta contro la Croazia, resta la
speranza che la Spagna, già qualificata come prima per gli ottavi, faccia il
suo contro l’Albania, ma anche qui nulla è scontato, intanto perché gli
albanesi potrebbero fare il pieno contro una Spagna ampiamente rimaneggiata e
poi perché l’eventuale terzo posto a 3 punti potrebbe non bastare per il
ripescaggio delle quattro terze su sei.
Comunque vadano le cose, le prospettive italiane di
andare avanti in questi Europei sono tutt’altro che rosee dopo aver visto gli
azzurri completamente in balia degli spagnoli, in quella che può essere
definita in assoluto la più brutta partita giocata dalla nostra nazionale, persino
peggiore di quella che determinò la storica sconfitta contro la Corea.
sergio magaldi
venerdì 7 giugno 2024
QABBALAH: Il 32°Sentiero dell’Albero della vita: Malkhuth-Yesod
lunedì 27 maggio 2024
Qabbalah: i 32 Sentieri dell'Albero della Vita
domenica 19 maggio 2024
LO STILE JUVENTUS
Nulla
di nuovo sotto il sole per quanto si è già visto sui campi di calcio anche da
parte di nomi illustri tra gli allenatori e infatti la gravità della protesta,
più che altro appariscente e teatrale, è stata sanzionata con due sole giornate
di squalifica.
Lo
stile Juventus non è compatibile con il battibecco che ne è seguito in campo e che
poi è proseguito nei corridoi dello stadio nei confronti di giornalisti e
addetti ai lavori, con cui peraltro risulta che Allegri si sia scusato.
C’
è di più: a leggere le poche righe del comunicato del licenziamento si resta di
sasso: una stringata cronologia del lungo rapporto di Allegri con la Juve,
senza parlare dei trofei vinti e per annunciare soltanto che la sua attività
con la squadra cessa con la finale di Coppa Italia 2024, senza neanche
menzionare la vittoria. E’ questo lo stile Juventus?
Ma
qual è lo stile Juventus? Quello dell’avvocato Agnelli? Siamo certi che lui
avrebbe – non semplicemente esonerato a fine campionato e senza tanto clamore –
licenziato in tronco un allenatore che ha vinto 5 scudetti 5 coppe Italia, 2
supercoppe e che per ben due volte ha portato la Juve alla finale di Champions?!
Corre
voce da più parti – ma forse si tratta solo di malignità – che il cosiddetto
stile Juventus abbia trovato nel “licenziamento in tronco” dell’allenatore, che
insieme a Trapattoni e Lippi è tra i più vincenti della storia bianconera, un
espediente per risparmiare sull’ultimo anno di contratto di Allegri.
Tutto
ciò premesso, devo aggiungere che non sono mai stato un ammiratore del tecnico
livornese [vedi di seguito il post del
21 novembre 2021 dal titolo “La filosofia di Allegri”, cliccando sul link seguente: https://zibaldone-sergio.blogspot.com/2021/11/l-filosofia-di-allegri.html ] anche se gli sono stato grato per i tanti
trofei. Ho spesso pensato – e non sono il solo – che negli ultimi tre anni,
nonostante le numerose vittorie di “corto muso”, il gioco espresso dalla Juve
fosse il più brutto della Serie A, ma occorre riflettere che anche in questi anni della
“seconda volta” di Allegri alla Juve gli obiettivi sono stati sempre raggiunti
e che, in particolare lo scorso anno, l’allenatore ha saputo mantenere dritta la barra delle
squadra nell’infuriare di una crisi societaria non indifferente, raggiungendo
ugualmente il 3° posto nella classifica, utile per partecipare alla Champions,
salvo poi la penalizzazione nel punteggio e la squalifica UEFA che ha
estromesso la squadra dalle competizioni europee per i noti fatti di bilancio. Realizzati
tutti gli obiettivi anche quest’anno, con l’ultimo raggiunto proprio nel giorno
del licenziamento in tronco: qualificazione alla Champions 2024-2025, al primo
Mondiale per Club, e vittoria della Coppa Italia contro una squadra come
l’Atalanta, prossima finalista di Europa
League e che, alla vigilia, davano tutti per favorita.
sabato 11 maggio 2024
Dal Golem all’Intelligenza Artificiale (parte 2ª)
giovedì 25 aprile 2024
GOLEM - La Leggenda del Golem, i Robot e l'IA (p. 1ª)
venerdì 19 aprile 2024
RILEGGERE SARTRE (P.7.a Il ruolo di Sartre negli studi di psicologia)
Circa un anno fa, Riccardo De Benedetti
su Avvenire si poneva un interrogativo a cui dava subito una
risposta: “Che cosa resta di Sartre? Poco, ma decisivo”.
Sartre – osserva l’autore dell’articolo – è sempre stato in “situazione”, con ciò intendendo dire che egli ha quasi ininterrottamente inteso rappresentare il proprio tempo e quello della società e del mondo in cui viveva. È certamente vero, almeno sino al maggio francese. E proprio per questo – continua l’autore – Sartre ha finito col pagare con la dimenticanza o addirittura con l’oblio. Vero anche questo, ma bisogna tener conto del fallimento politico della rivoluzione che avrebbe dovuto portare “l’immaginazione al potere” e che invece ha realizzato il successo di quanti speravano di sbarazzarsi una volta per tutte della lotta politica, limitandola al terrorismo più o meno compiacente e preparando, attraverso la liberazione del costume e dei consumi, l’avvento della globalizzazione, del cosiddetto capitalismo della sorveglianza e dell’era tecnologica.
A questo punto, conviene chiedersi con De Benedetti se non sia venuto il momento di rileggere Sartre, tenuto conto che, come dice, “alla sovrabbondanza della tecnica corrisponde un diminuire, sin quasi alla scomparsa, dell’uomo”.
Il “poco” che resta di Sartre è dunque una riflessione sul significato dell’esistenza in un mondo che ha finito per relegare l’essere umano ai margini della Storia. L’occasione è offerta, e direi non solo, da una nuova edizione de L’essere e il nulla proposta di recente dal Saggiatore per festeggiare gli ottanta anni dalla sua pubblicazione (1943-2023).
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Per una rilettura, il più possibile completa, di Sartre ripropongo di seguito in sette post la relazione, con opportune modifiche, a suo tempo presentata per un convegno di filosofia.
Per quanto si riferisce “all’ultimo Sartre” e alle
polemiche accese dai suoi scritti più recenti, suggerisco il post:
Si vedano ancora, su Sartre in generale, i video youtube seguenti:
ASSEGNA STAMPA sulla nuova edizione di L’essere
e il nulla, pubblicato da Il Saggiatore il 19 febbraio 2023
Un'esistenza che precede l'essenza
Che cosa resta di Sartre? Poco, ma decisivo
Una nuova veste per "L' essere e il nulla" di
Jean-Paul Sartre
Siamo condannati alla libertà.
SEGUE DA:
Ishiguro, dopo aver
ricordato come l'immaginazione sia stata sempre considerata «il brutto
anatroccolo del mondo filosofico», osserva come la situazione sia profondamente
mutata: «Eminenti filosofi, in Inghilterra e in Europa, hanno cercato di
mostrare come lo studio filosofico dell'immaginazione costituisca una parte
importante, e del tutto degna di considerazione, della filosofia della mente.
In effetti, lo studio della immaginazione è uno dei campi in cui i problemi
posti dai filosofi di questi due mondi a sé stanti — Europa e Inghilterra —
hanno maggiori punti di contatto. La differenza tra l'Imaginaire (1940) di Sartre e le note sulla immaginazione di
Wittgenstein in Blue and Brown Books (1934-36),
o il capitolo sull’immaginazione nel libro di Ryle Concept of Mind (1949) è senza dubbio minore di quella che esiste
fra L'Imaginaire e le opere dei
predecessori di Sartre in Francia, o fra l'indagine di Ryle e quella condotta
dagli empiristi inglesi che si rifanno a Hume»[1].
I punti di contatto
tra Ryle (che Ishiguro nell’opera da lui citata definisce il più comportamentista
dei filosofi analitici inglesi) e Sartre possono così riassumersi: l'oggetto
d'immaginazione non è un'entità mentale (pp.197 e 206), immagini e percezioni
non interferiscono tra loro ma si escludono a vicenda (p.200), «farsi delle
immagini» è per Ryle come per Sartre «uno dei molti modi di far finta, e far finta
è uno dei molti modi in cui esercitiamo la nostra immaginazione, che, a sua
volta, è un modo in cui facciamo uso delle nostre cognizioni e della nostra intelligenza»
(p.201).
Infine la concezione
del sapere nell'immaginazione, nel senso che immaginare un oggetto non
significa propriamente accrescere la conoscenza che si ha dell’oggetto stesso (pp.202-203).
Una sostanziale affinità c'è inoltre tra l'osservazione di Wittgenstein che
«vedere come...» è simile all'«avere un’immagine di...» e l'opinione quasi
assolutamente identica che si trova in tutta l'opera di Sartre quando esamina
in dettaglio ritratti, caricature, mimiche, simboli ed altri fenomeni specifici
(p.222).
Mi riferisco inoltre al fatto che la psicologia statunitense e la psicologia inglese ed europea hanno fatto largo uso, nella descrizione e nella valutazione di casi clinici, del metodo e degli strumenti forniti dalle analisi teoriche di Sartre. Per tutti basti ricordare l'inglese Ronaid Laing, il più noto in Italia tra gli psichiatri che si richiamano alla fenomenologia, il quale, nel descrivere forme d'ansia quali il «risucchio», l'«implosione», la «pietrificazione», o forme di insicurezza nei confronti di se stesso e/o di altri come l'«evasione», l'«elusione», la «collusione» ecc…, ricorre con frequenza alle analisi contenute nelle opere di Sartre.
Il «risucchio», in quanto si definisce come una sensazione minacciosa che il soggetto avverte soprattutto nel rapporto con l'altro (anche se dipende dalla perdita del senso della propria autonomia e della propria identità), rimanda alle analisi sartriane del «per altri» contenuta nella Parte III di L'Etre et le Néant.
L'«implosione», in quanto è una forma d'ansia per la quale la realtà per se stessa si presenta come minacciosa, ricorda il comportamento magico nei confronti del reale del soggetto emozionato che Jean Paul Sartre descrive ampiamente nel saggio Esquisse d'une théorie des émotions.
La «pietrificazione», nel duplice senso di «vedere» ed «essere visto» cioè di «trasformare» ed «essere trasformati » in pietra, come pure l'atteggiamento di indifferenza nei confronti dell'altro sono particolari forme d'ansia derivanti dall'esistenza dell'altro come libertà: «il risucchio consiste in questo: se si sente l'altro come un libero agente, si è esposti alla possibilità di sentire se stessi come un oggetto della sua esperienza, e quindi di sentirsi prosciugare la propria soggettività. Si è minacciati dal pericolo di diventare un semplice oggetto del mondo dell'altro, senza più vita propria, senza più un essere proprio. Sotto l'effetto di questa ansia l'atto stesso di sentire l'altro come persona viene vissuto come un atto potenzialmente suicida. Questa esperienza viene brillantemente descritta da Sartre nella terza parte di L'essere e il nulla»[2].
Occorre tuttavia rilevare che mentre in Sartre l'insicurezza ontologica è un fatto originale della condizione umana, in Laing è piuttosto l'atteggiamento cui si lascia andare l'individuo schizoide: «Nessuno, più dell'individuo schizoide, si sente vulnerabile ed esposto allo sguardo di un'altra persona. Se non prova un acuto imbarazzo, una "consapevolezza" di essere guardato dagli altri, vuol dire soltanto che ha temporaneamente evitato il manifestarsi dell'ansia, e ciò con due possibili modi: o ha trasformato in oggetto l'altra persona, spersonalizzando quindi i suoi sentimenti nei suoi confronti, o ha assunto un'aria indifferente» [3]. E ancora: «essere un oggetto agli occhi di qualcuno non rappresenta, per la persona "normale", un pericolo spaventoso. Ma per l'individuo schizoide ogni paio di occhi di un suo simile significa una testa di Medusa, dotata del potere effettivo di uccidere e spegnere quel po' di vita che è in lui. Egli cerca perciò di prevenire la sua pietrificazione pietrificando gli altri, e gli pare, così facendo, di poter raggiungere una certa sicurezza» [4].
Va detto tuttavia
che lo stesso Laing, in definitiva, sembra piuttosto restio a parlare di una
normalità standardizzata e le sue stesse esperienze cliniche vanno piuttosto
nel senso di mettere in crisi, anche sotto questo profilo, le tesi classiche
della psichiatria. E' nota peraltro la collaborazione tra Ronaid Laing e David
Cooper, autore quest'ultimo, tra l'altro, di Psychiatry and Anti-Psychiatry, (Tavistock, Londra, 1967),
un’opera che tutto è tranne un riconoscimento della tradizione psichiatrica e
della sua concezione di normalità.
L'influenza di Sartre è inoltre visibile nella descrizione che Laing fa della condizione schizofrenica, sia dal punto di vista del paziente, sia dal punto di vista del mondo nel quale il paziente vive: «Ma se una persona non agisce nella realtà, ma solo nella fantasia, diviene essa stessa irreale. Il "mondo" affettivo di questa persona si immiserisce e si dissecca; la "realtà" del mondo fisico e delle altre persone cessa di essere usata come palestra per l'esercizio creativo dell'immaginazione, e perciò perde sempre più il suo stesso significato. La fantasia, non essendo né immersa in qualche misura nella realtà, né ricevendo iniezioni di "realtà" che possano arricchirla, si svuota e si volatilizza sempre più. E l'io, la cui relazione con la realtà è già tenue, perde sempre più il suo carattere reale e ne acquista uno sempre più fantastico, occupato com'è sempre di più in rapporti fantastici con i suoi fantasmi (immagini)»[5]
Come pure la spiegazione che il Laing da del fenomeno allucinatorio, in quanto questo consiste nella confusione che interviene a livello del rapporto io-non io, rivela chiaramente la matrice sartriana. Così Laing descrive l'esperienza di una allucinata: «Insieme con la tendenza a percepire aspetti del suo essere come dei non-lei, si aveva un'incapacità di discriminare fra ciò che «oggettivamente» era lei o non-lei. Questo è semplicemente l'altro aspetto della mancanza di una frontiera ontologica generale. Per esempio la paziente poteva credere che le gocce di pioggia che le cadevano sul viso fossero le sue lacrime» [6].
La ricerca degli influssi sartriani nella psichiatria di Laing potrebbe continuare a lungo: mi limito a riportare ciò che lo stesso Laing riferisce esplicitamente come contributo di Sartre o ciò che sottintende chiaramente il discorso sartriano.
Per il comportamento elusivo, che è una manovra del soggetto, mediante simulazione, tendente a modificare la propria posizione originaria verso se stessi e/o gli altri e le cose [7], Laing richiama come esemplificativi due comportamenti di malafede descritti da Sartre in L'Etre et le Néant: il cameriere che gioca ad essere cameriere e la ragazza che seduta al caffè con un uomo discute con lui della teoria platonica dell'amore e che improvvisamente si sente prendere una mano dal suo interlocutore[8].
Per il comportamento collusivo, che è una manovra interpersonale «in cui ciascuno gioca volontariamente al gioco altrui, magari senza rendersene completamente conto»[9], Laing si richiama alla situazione descritta da Sartre nella pièce Huis Clos.
Infine, per la
relazione amorosa che, in un certo senso, è la comunicazione più completa tra
l'io e l'altro, Laing può scrivere sulla scia di Sartre: «Nessuna teoria dei
rapporti fra uomo e donna, per esempio, può consentire che si trascuri il fatto
che ciascuno non cerca nell'altro solo un oggetto dal quale possa ottenere gratificazione,
ma anche una persona da gratificare, che l'uomo e la donna ricercano
nell'altro, in una relazione amorosa, non solo un mero oggetto grazie al quale
possano raggiungere, più o meno sinceramente, lo stato di tumescenza e
detumescenza, ma una esperienza unitaria, fisicamente intima ed eccitante,
dalla quale ciascuno possa trarre la consapevolezza non solo di possedere il
mondo intero attraverso il possesso dell'altro, ma anche quella di costituire,
se pure per pochi istanti, il mondo intero
per l’altro»[10].Laing
utilizza poi questa analisi per mostrare come la maggior parte dei soggetti si
sforzi «di occupare il primo posto, se non l'unico posto di rilievo, nello
schema del mondo di almeno un'altra persona» [11] sino
agli eccessi del paranoide, per il quale non si tratta più di vivere nel
proprio mondo, ma «per proiezione magica nel mondo degli altri» [12].
sergio magaldi
[1] Cfr. H. Ishiguro, L'immaginazione in AA.V.V., Filosofia analitica
in-glese, Lerici, Roma, 1967, p. 192.
[2] Cfr. R.D. Laing,
L'io diviso, Einaudi, Torino, 1969, p. 56.
[3] Ibidem, p. 87.
[4] Ibidem, pp. 87-88.
[5] R. Laing,
op. cit., pp. 97-98.
[6] Ibidem, p. 222.
[7] Cfr. R.D. Laing, L'io e gli altri. Sansoni,
Firenze, 1969, p. 44.
[8] Cfr. J.P. Sartre, L'essere e il
nulla, II Saggiatore, Milano, 1964, p. 100 e 95-96 e R.D. Laing, L'io e gli
altri, pp. 42-46.
[9] Cfr. R.D. Laing,
L'io e gli altri, p. 126.
[10] Ibidem, p. 159 (Cfr.
J.P. Sartre, L'essere e il nulla,trad.it., p. 453).
[11] Ibidem.